Una natura sospesa in un movimento ondulatorio si interseca con il gesto dell’uomo. È un giardino in penombra, compagno nella danza di un quintetto maschile. Volti, mani, braccia, corpi differenti appaiono nelle pieghe di uno spazio reso vivo dall’ondeggiare di foglie e piante che si muovono con i danzatori. Siamo nel Paradiso di Virgilio Sieni, ospitato nella stagione della Triennale Milano, stasera al Fraschini di Pavia, prossime tappe il 7 a Genova (Teatro Ivo Chiesa), il 18 a Verona (Teatro Camploy). Dante è una traccia ritmica, l’andamento dell’endecasillabo, la terzina che fluttua nel movimento al di là della parola, il Paradiso di Sieni è una visione rizomatica che piacerebbe a Deleuze, con la danza che si espande orizzontalmente come se i corpi fossero anch’essi arbusti, come quelli delle piante portate in mano, appoggiate alle spalle, danzanti insieme ai cinque.

UN TEMPO non cronologico, pieno di relazioni coeve, indipendenti, distanti dalla didascalia. Avviene anche con la musica. Progetto sviluppato per tappe, Paradiso prima di Milano ha incontrato più partiture. In Triennale è la musica di Salvatore Sciarrino a vibrare dentro il giardino tattile. Suoni sospesi, silenzi, ruggiti in lontananza, flauto, voce, percussioni leggere. Tre pezzi, Lo spazio inverso, Introduzione all’Oscuro, La perfezione di uno spirito sottile, che già dai titoli evocano libere associazioni con ciò che accade sulla scena. I cinque, insieme alle piante, hanno un’identità metamorfica, toccata da fila di fari tondi variamente accese o spente dall’alto. La forma che il movimento assume nello spazio di rado si ferma: come un canto a più voci la coreografia si distende, si diversifica in linee dall’andamento circolare, centrifugo e centripeto: il gesto, la danza, nei cinque corpi è polifonia, solo per attimi è unisono svelando le differenze nella comunità.

LE PIANTE, portate in scena singolarmente dai danzatori, diventano a un tratto giardino sullo sfondo. È un momento di particolare incanto. Il giardino, così sfolgorante, se pur in penombra, nella sua intima, naturale, bellezza, ha potenza. I cinque riappaiono tra le piante della foresta rigogliosa: il loro gesto, il loro passo acquista una dimensione cosmica, utopica, senz’altro paradisiaca. Ed ecco che si ritrova in questa chiusa una visione ecologica ben più sottile di un proclama urlato a piena voce. I cinque, e vanno nominati tutti, Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Giulio Petrucci, dello spazio della scena e dell’altro hanno cura. «Per toccare un corpo» – dice Sieni nel bel testo Dizionario minimo del gesto (Editore Feltrinelli) – basta avvicinarsi alla sua aura: mettere a proprio agio l’altro significa non essere arroganti con la sua aura, ma creare una vicinanza, un’inclusione soffice. L’aura è lo spazio che ci contiene, ma non siamo noi a determinare lo spazio: preesiste nella nostra presenza. È lo spazio che ci determina. Se non abbiamo cura di qualcosa che ci determina, finiremo col distruggere noi stessi». E questo non è il senso laico del paradiso?