Non c’è una cifra, non c’è una norma, non c’è nemmeno chiarezza sul tetto di età. Ma il governo continua a propagandare il «taglio strutturale delle assunzione per i giovani» come mantra in vista della legge di bilancio.
Ieri è toccato al ministro del Lavoro Giuliano Poletti rinnovare l’annuncio a conclusione del tavolo con i sindacati che all’ordine del giorno aveva il tema delle politiche attive. La novità riguarda semplicemente il fatto che la misura per i giovani sarebbe strautturale. «C’è un’ipotesi che fa riferimento alla possibilità di avere una decontribuzione che indicativamente definiamo del 50 per cento degli oneri previdenziali da destinare stabilmente alla platea dei giovani». Altrettanto indefinito il passaggio al taglio successivo ai tre anni con la vaga promessa che «si eviterà una bolla» e che «si sta considerando un aumento dei costi dei licenziamenti per evitare che le imprese abusino degli sgravi».
Rientrando più sui temi all’ordine del giorno per affrontare le tante crisi aziendali in atto il governo rispolvera il vecchio cavallo di battaglia del senatore ex Scelta Civica Pietro Ichino: l’assegno di ricollocazione. Già rientrato nei decreti attuativi del Jobs act, l’assegno che prevede un premio alle agenzie interinali che riescono a ricollocare un lavoratore licenziato non è affatto decollato. Le prime cavie sono stati i 1.666 licenziati romani di Almaviva a fine 2016 che sono in gran parte ancora in attesa di fare un colloquio per capire le loro attitudini. Ora il governo prova a rilanciare questo – già inceppato – strumento. Ma dovrà fare i conti con Confindustria e le imprese. Si lavora infatti «sulla possibilità di anticiparne l’uso, nelle le crisi aziendali, durante il periodo di cigs», spiega Poletti. Attualmente l’assegno di ricollocazione, partito in via sperimentale, è rivolto a chi è già stato licenziato e ha la Naspi da almeno quattro mesi. Ciò significa però che i licenziamenti verrebbero anticipati.
Se i ritardi sulle «politiche attive» sono sulla bocca di tutti i renziani come gamba mancante del Jobs act, anche su questo versante si rimane nel campo delle promesse. «Ci auguriamo nelle prossime settimane di poter concludere un accordo tra governo e Regioni che preveda il passaggio del personale dei centri per l’impiego alle Regioni e di poterli rafforzare con 1.600 persone», quelle cioé da anni in attesa di stabilizzazione.
Dai sindacati i commenti sono improntati all’attendismo. «Ci sono state delle aperture, ma non è ancora chiaro quante siano le risorse a disposizione – attacca il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo- . Accompagneremo questa nostra piattaforma mettendo in campo alcune iniziative unitarie». «Per noi il tema degli ammortizzatori è fondamentale e il Jobs act ha ristretto tutti gli strumenti, non va lasciato al margine», ha sottolineato il segretario confederale della Cgil Tania Scacchetti.