Alla notizia che il «disboscamento» dei contratti del Jobs act si risolverà nel mantenimento di ben 45 contratti su 47 esistenti, va fatta una premessa. Ed è una premessa negativa e pessimistica. A farla è lo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti durante l’incontro con le parti sociali, poi ribadita ai giornalisti. «Io sono un ministro di questo governo, venerdì (domani, ndr) in consiglio dei ministri vedremo se le nostre impostazioni verranno mantenute o modificate». Sarà dunque – come sempre – Matteo Renzi a decidere.

E visto l’andazzo – oltre al «gasatissimo» riferito a Marchionne, ieri i presenti riferiscono le parole del direttore dell’area lavoro e welfare di Confindustria Pierangelo Albini: «Finalmente mi sento dalla parte giusta del tavolo» – è facile pronosticare che nel dubbio il presidente del Consiglio darà ragione alle imprese e non ai lavoratori.

E nel primo da dipanare – dare ragione a Damiano che chiede di cancellare i licenziamenti collettivi dal campo di applicazione del nuovo articolo 18 e gli appalti dall’applicazione del nuovo contratto a tutele crescenti o a Sacconi e Ichino che chiedono di mantenere entrambi – è chiaro che Renzi starà con Ncd e non alla sinistra Pd.

Torniamo dunque alle molte notizie date dal ministro Poletti. Innanzitutto cosa succederà domani: «Approveremo definitivamente il decreto sul contratto a tutele crescenti e (nonostante le titubanze sulle coperture, ndr) quello sulla nuova Aspi. In più presenteremo il decreto sulla revisione dei contratti esistenti, mentre su agenzia unica ispettiva (oggi è in programma un incontro coi sindacati di categoria dopo il vespaio di martedì sul trasferimento di 1.746 lavoratori, ndr)), maternità e mansioni i materiali sono pronti ma non sappiamo se un consiglio dei ministri con tanti temi ci consentirà di discuterli».

La grande attesa riguarda la promessa di Renzi: «Aboliremo i cocopro». E qua si capisce subito che si tratta di un ennesimo spot sotto il quale si cela il nulla, o quasi. «Bloccheremo la creazione di nuove collaborazioni – specifica Poletti – ma su quelle che ci sono già occorre una modalità di gestione della transizione».

Niente cancellazione, dunque. Bensì «una nuova definizione del confine tra lavoro autonomo e subordinato» che potrebbe partorire un nuovo contratto «come in Spagna quello economicamente dipendente, ma se riusciamo a risolvere questo tema senza introdurre una nuova formula contrattuale la evitiamo». Invece, per quanto riguarda i co.co.co, Poletti ha sottolineato che «ci sono situazioni specifiche nel pubblico e nel privato e vanno valutate». Tutto molto oscuro e complicato anche perché «la delega del Parlamento riguarda solo il lavoro subordinato e non quello autonomo».

Le uniche forme contrattuali che – come anticipato – verranno cancellate sono dunque solo due fra le meno utilizzate: i circa 70mila lavoratori con l’associazione in partecipazione – usato in alcuni casi per le commesse delle catene di calzifici — e del job sharing – il lavoro condiviso usato in pochissimi casi. In più i voucher verranno perfino allargati: il limite di applicazione annuale passerà dagli attuali 5 ad 8 mila euro.

L’annuncio fatto dai sindacati – sempre riferendo le parole del ministro – di una possibile soluzioni sul caso dei lavoratori degli appalti – che con l’applicazione del tutele crescenti ad ogni cambio di ditta perderebbero le tutele della cosiddetta clausola sociale e le condizioni precedenti – è stata poi alquanto ridimensionata dallo stesso Poletti: «Stiamo studiando cosa si possa fare per risolvere il problema sollevato dai sindacati», è la non rassicurante spiegazione.

Parole che portano Cgil e Uil ad essere durissimi. «La montagna ha partorito il topolino – commenta il segretario generale Uil Carmine Barbagallo – rimangono tutti i contratti tranne uno e anche sul decreto Poletti sul tempo determinato rimangono i 36 mesi senza causale. Resto alle riunioni per rispetto dei nostri iscritti, ma dovrei dire: con chi stiamo parlando?».

Per Serena Sorrentino, segretario confederale Cgil «più che un disboscamento dei contratti c’è solo una manutenzione. Il ministro l’ha motivata col fatto che contro la precarietà non si può usare il bazooka perché creerebbe un buco. Ma sui licenziamenti e l’articolo 18 lo hanno usato senza problemi».

Molto più morbida la Cisl: «Bene il riordino delle tipologie, ma va cancellato il lavoro a chiamata, e il tutele crescenti, ma vanno tolti i licenziamenti collettivi», dichiara il segretario confederale Gigi Petteni.