«Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ci ricorda tutti i giorni che il sentiero è stretto, dobbiamo sapere che lavoriamo con una dimensione delle risorse che è definita». Così il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha replicato ieri a Cernobbio a chi, come il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia al Meeting di Rimini, ha definito «un po’ timida» la proposta del Bonus giovani, una nuova decontribuzione per convincere le imprese ad assumere almeno una volta giovani disoccupati.

Per il governo che si prepara a varcare le forche caudine dell’ultima legge finanziaria della legislatura è, al momento, difficile strappare maggiori margini sul deficit per regalare fondi pubblici alle imprese che hanno già dimostrato di non volere assumere stabilmente con il «contratto a tutele crescenti» del Jobs Act, sostenuto dal governo Renzi con 18 miliardi in un triennio, con sgravi pari a 8.040 euro a neo-assunto. Nell’ultima settimana sono state avanzate cifre più modeste, pari a 2 miliardi di euro per lo sprint elettorale in vista del traguardo della prossima primavera.

In uno slancio di entusiasmo, Poletti ha promesso l’assunzione di addirittura 300mila «giovani». Tuttavia, non si è ancora capito a quali «giovani» dovrebbero essere riservati gli sgravi biennali pari a 3.200 euro ad assunto. Entro i 32 anni o i 29? L’incertezza della platea dei beneficiari è dovuta alle norme europee sui giovani «Neet». Questa categoria statistica – indica coloro che «non studiano né lavorano» e quindi lavorano in nero – si ferma ai 29 anni. Una soglia già impropria poiché il «Neet» dovrebbe essere compreso tra i 15 e i 24 anni. Portarla a 32 anni è il segno della precarietà di massa che ha travolto persone che «giovani» non sono. Resta il fatto che la soglia è troppo alta anche per i parametri europei. Questa incertezza rende, già da ora, improbabili le valutazioni di Poletti sull’effetto che il «bonus» dovrebbe avere sull’occupazione giovanile.

L’annuncite del governo ha rimosso una valutazione complessiva sull’efficacia del nuovo bonus per l’occupazione. Dal a oggi 2014 abbiamo imparato che la decontribuzione serve a creare una bolla a fini politico-elettorali. Così ha fatto Renzi che ha trasferito un’enormità di risorse pubbliche verso i privati. È la regola dell’assistenzialismo dello Stato alle imprese: le perdite sono di tutti, i guadagni di pochi.

I risultati sono stati a dir poco deludenti, e catastrofici per le casse pubbliche. Dopo il boom opportunistico del dicembre 2015, quando lo Stato regalava alle imprese il bonus pieno, è cresciuta solo l’occupazione a breve e brevissimo termine. E’ stato un risultato della «renzinomics», solo che chi è al governo se ne vergogna. Ancor prima del Jobs Act Poletti ha modificato il contratto a termine rendendolo «acausale». Cioè ha permesso di rinnovare svariate volte lo stesso contratto in contraddizione con il «contratto a tutele crescenti». Non si capisce il motivo per cui un’impresa che può contare su un contratto più conveniente, e meno pagato, di un’assunzione a tempo indeterminato comunque fittizia (dura solo 3 anni), scelga invece un contratto che non le conviene. Ora si replica. In vista delle urne è in arrivo una piccola «bolla occupazionale».

Questa politica dei bonus non risolve uno dei problemi strutturali emerso nel faticoso, e incompreso, triennio renziano: l’asimmetria tra l’aumento del lavoro sopra i 50 anni e il calo nella fascia di età inferiore ai 35 anni. L’idea di concentrare le risorse sotto i 32 (o i 29 anni) è una pezza a colori che servirà a nascondere le ragioni di una simile asimmetria, non a correggere un andamento evidente del mercato del lavoro: la sostituzione del lavoro a tempo indeterminato con quello a termine e ultra-precario.

La maggior parte dell’aumento occupazionale è stato il prodotto di un effetto statistico di trascinamento dovuto alla riforma delle pensioni Monti-Fornero che ha obbligato i lavoratori maturi a restare più a lungo in attività. Nella stragrande maggioranza quelli in essere non sono «nuovi» posti di lavoro: continua a lavorare precariamente chi già era precario prima. In più, come ha dimostrato uno studio dei ricercatori della Banca d’Italia nel giugno 2017 – Effrosyni Adamopoulou e Eliana Viviano – chi viene assunto con la decontribuzione è pagato meno di chi è già precario, ma più adulto. Il salario sarebbe addirittura inferiore rispetto a quello ricevuto nelle assunzioni in apprendistato.

Com’è già accaduto con il Jobs Act gli effetti della bolla svaniranno al finire degli incentivi. In prospettiva ci potrebbe essere anche un taglio strutturale al costo del lavoro, ma le risorse sono insufficienti e il governo non ha la forza di rimediare alle follie renziane come l’eliminazione della tassa sulla prima casa.

All’orizzonte si intravede solo un precariato costante e irredimibile.