Il decreto sui contratti a termine, purtroppo, per il momento sembra destinato a rimanere «precarizzante». La conferma è arrivata dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ieri ha sintetizzato i risultati dell’incontro che si è tenuto mercoledì sera con i parlamentari del Pd. «Non è molto difficile arrivare a un ragionevole punto di intesa», ha spiegato il ministro, ribadendo successivamente i paletti che intende mettere alle modifiche.
L’incontro è stato «assolutamente utile e molto costruttivo», ha detto il ministro, ammettendo che si sono contrapposte valutazioni di merito differenti, ma che si è comunque tracciato un percorso entro il quale poter ritoccare il provvedimento. «Credo che siamo nel contesto di un sostanziale mantenimento della norma così come l’abbiamo scritta e prevista ma con qualche aggiustamento di quelle parti che a seguito della discussione politica e delle audizioni si verifichi sia opportuno cambiare».

Proprio per favorire le modifiche, ieri si è rinviata la scadenza per la presentazione degli emendamenti all’11 aprile. I non renziani, i più critici rispetto al decreto, hanno la maggioranza in Commissione Lavoro della Camera, ma non la useranno per causare rotture nel partito. L’accordo è insomma che si agisca per «aggiustamenti» appunto per mezzo degli emendamenti, e possibilmente senza creare assi trasversali alternativi con M5S e Sel.

Due i punti di attacco individuati per una possibile correzione, anche se la minoranza Pd non ha del tutto rinunciato a modifiche più ampie: il primo riguarda la formazione pubblica nell’apprendistato; dovrebbe essere reinserita l’obbligarietà, anche per non incorrere in sanzioni Ue. Il secondo è relativo alle proroghe previste per i contratti a tempo determinato. Un punto, quest’ultimo, su cui Poletti non si sbilancia, ma per cui conferma la possibilità di una riduzione.

«Sì, è un tema discutibile perché non c’è un dogma ma solo una valutazione da fare. La discussione però non è ancora iniziata», rispondeva ieri il ministro a chi gli chiedeva se fosse possibile prevedere una riduzione del numero dei rinnovi contrattuali da 8 a 6.

Il governo farà invece muro sulla eventualità che si rimettano in discussione i mesi di durata del nuovo contratto a termine. «I 36 mesi è uno dei punti essenziali della norma ed è un punto non discutibile perché la sua logica è fare in modo che con le proroghe sia possibile che una stessa persona resti nello stesso posto di lavoro per tutta la durata del periodo», ha spiegato Poletti ribadendo come una riduzione da 36 a 24 mesi e la reintroduzione di una causale sarebbe «un controsenso logico».

Perplessità, da parte del ministro, anche sulla richiesta, emersa nel corso dell’incontro con il Pd, di reinserire la soglia per la stabilizzazione degli apprendisti. «Personalmente sono poco convinto del fatto che siano gli obblighi che producano gli esiti – ha commentato Poletti – Se un’impresa è convinta della bontà di una soluzione stabilizza in autonomia, se non lo è interrompe il contratto un mese prima della scadenza, eludendo il problema», ha spiegato il ministro.

L’iter parlamentare, secondo Poletti, sarà tranquillo: «Non mi aspetto nessun problema particolare – ha detto – La discussione è molto positiva e tutti hanno preso atto che non c’è un aut aut, prendere o lasciare, da parte del governo». Eppure un ammonimento arriva: «Se qualcuno pensa di fare una cosa diversa da quello che il governo ha proposto e concordato, il governo si opporrà». Poco prima dell’11 aprile, l’esecutivo farà il punto con il relatore di maggioranza per verificare quanti e quali emendamenti prevedere anche perché, ha aggiunto infine Poletti, non è escluso che «alcuni emendamenti li debba fare lo stesso ministero», soprattutto sulla parte relativa alla congruenza della legge con le norme europee.

Pd a parte (con una minoranza che ha dunque accettato di non alzare troppo i toni), la Cgil resta molto critica. Ieri la segretaria Susanna Camusso ha confermato tutti i dubbi e le critiche del sindacato sul provvedimento.