La crescita dell’occupazione è trainata da rapporti di lavoro di una durata massima di tre mesi. La conferma di questo dato strutturale, di cui scriviamo ormai da mesi, è arrivata anche dal rapporto integrato sul mercato del lavoro 2017 presentato ieri a Palazzo Chigi dai massimi vertici dell’Istat (Giorgio Alleva), Inps (Tito Boeri), Inail (Massimo De Felice), Anpal (Maurizio Del Conte) e dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

È UN’OCCUPAZIONE «mordi e fuggi» che ha superato ogni record dal 1992 a oggi. In cinque anni c’è stato un exploit: è passata da 3 milioni a 4 milioni nel 2016: un milione di lavoratori in più. Nel dettaglio i contratti di lavoro dipendente a termine sono passati da 1,5 a 1,8 milioni di lavoratori. Il 95% dei rapporti di somministrazione durano in media 12 giorni e hanno coinvolto poco meno di 500 mila lavoratori nel 2016 (erano 377 mila nel 2012). Numeri probabilmente destinati a crescere dopo l’abrogazione dei voucher che, va ricordato, hanno coinvolto 1,8 milioni di lavoratori. Non di solo lavoro «dipendente» è fatta la crescita dell’occupazione «mordi e fuggi». Cresce anche il cosiddetto lavoro autonomo «marginale» iscritto alla Gestione separata dell’Inps, quello dei «lavoretti» della Gig-economy con un reddito annuo inferiore a 5 mila euro: 102 mila i lavoratori coinvolti, erano 74 mila nel 2016. Il 44% dei contrattisti che tra il 2012 e il 2015 lavora hanno lavorato a breve e brevissimo termine sono transitati verso forme di lavoro più strutturate nel 2016. Ma questo solo a causa degli incentivi alle imprese finanziati dal governo Renzi.

ORA CHE I 18 MILIARDI di euro stanno terminando la tendenza si è nuovamente invertita. Con i risultati indicati dall’Istat proprio qualche giorno fa: otto lavoratori su dieci «assunti» in Italia oggi sono precari, in maggioranza sono over 55. Tra il 2008 e il 2016 il tasso di occupazione dei giovani ha perso il 10,4%, mentre quello dei lavoratori anziani è aumentato di 16 punti. Una disparità clamorosa dovuta anche alla «riforma» Fornero che ha aumentato l’età pensionabile. Il «recupero» tra i giovani nell’ultimo biennio è dovuto al lavoro a breve termine. Mentre il lavoro dipendente cresce, cala quello autonomo. Sembra che sia dovuto al prosciugamento delle «false partite Iva» Aumenta il numero dei «liberi professionisti». Il dato può essere spiegato così: la partita Iva, strumento dell’auto-sfruttamento, è l’ultimo argine alla precarietà. Tutto questo avviene mentre il tasso di disoccupazione resta all’11,2%, il quart’ultimo nell’Ue. Calano gli «inattivi»: ovvero aumenta il numero dei precari in cerca di un’occupazione. Questo fenomeno è dovuto a un processo strutturale che tende a sostituire il lavoro dipendente a tempo indeterminato con il lavoro a termine e precario. A favorire questo processo strutturale – definito «casualizzazione del lavoro» – è stata soprattutto la «riforma» dei contratti a termine senza «causale» che porta il nome di Giuliano Poletti.

DAVANTI ALL’ENORMITÀ delle conseguenze azionate dall’unica riforma renziana che sta funzionando – precarizzando tutto il possibile – ieri a Palazzo Chigi Poletti si è mostrato disponibile a una modifica della sua «riforma» abbassando la durata massima dei contratti a tempo determinato da 36 a 24 mesi.«È un intervento che non si può escludere, ma non può essere un automatismo – ha detto il ministro – La normativa sul tempo determinato è antecedente alla riforma del lavoro e alle tutele crescenti». Da questa frase sembra che il ministro escluda un rapporto diretto tra l’aumento del lavoro «mordi e fuggi» e la sua «riforma». Vedremo quali saranno gli «approfondimenti» richiesti. Ad aprire ieri il discorso è stato Tito Boeri: «Valutiamo – ha detto il presidente dell’Inps – se è il caso di rivedere le norme sui contratti a termine che si possono rinnovare fino a cinque volte, perché c’è il rischio che diventi un periodo di prova troppo prolungato». In pratica, i rapporti di breve durata sono usati come forme di tirocinio o apprendistato. Una volta terminati le imprese scartano i «vecchi» lavoratori e ne prendono altri «nuovi». Questo vorticoso turn-over garantisce la «crescita» dei «McJobs». È una classica dinamica del mercato del lavoro post-fordista: la forza lavoro è governata come si fa con le scorte di magazzino: è attivata quando serve.

LA SITUAZIONE ha spinto persino il Pd a ripresentare un emendamento in commissione Bilancio, già ritirato in commissione Lavoro. L’emendamento chiede di ridurre il tempo massimo dei contratti da 24 a 36 mesi. Resta da capire se questa correzione basti per modificare la tendenza. Per porre un argine bisogna ripristinare la «causale» dei contratti a termine altrimenti la riduzione temporale e/o dei rinnovi aumenterà ancora di più il turn over e la casualizzazione del lavoro.