Per non disturbare la cerimonia dei César, che dovrebbe essere incentrata sul cinema e non su chi viene scelto a presiedere l’evento, Roman Polanski ha deciso di non accettare l’invito». Con questa nota, diffusa ieri tramite l’agenzia di stampa France Presse, l’avvocato del regista, Hervé Temime, ha comunicato la decisione di ritirarsi dalla presidenza dei César, gli Oscar d’oltralpe xche premiano i migliori film francesi dell’anno.

 

 

La nomina di Polanski – il quale dopo quarant’anni negli Stati Uniti è ancora perseguibile legalmente per l’accusa di presunta violenza sessuale verso una minorenne – la quale peraltro ha da tempo reso noto che desidererebbe l’archiviazione del caso – aveva immediatamente scatenato le polemiche di alcuni gruppi femministi francesi. Tra questi Osez Le Feminisme ha organizzato una manifestazione di protesta fuori dalla sala dove si terrà la premiazione sabato prossimo. «Non possiamo lasciare che questo accada – aveva detto una rappresentante dell’associazione, Claire Serre-Combe – Nominare Polanski presidente è una mancanza di rispetto nei confronti delle vittime di stupro. La qualità del suo lavoro non ha nessuna rilevanza di fronte al crimine che ha commesso, la sua fuga dalla giustizia e il suo rifiuto di prendersi le sue responsabilità».

 

 

Una petizione online chiedeva anch’essa la destituzione di Polanski dal ruolo onorario di presidente dei César: «Per la sua amicizia con la crema del mondo del cinema Polanski beneficia da tantissimo tempo in Francia di una protezione scandalosa, nonostante negli Stati Uniti sia ricercato per lo stupro di una minorenne».

 

 

Chiunque abbia scritto la petizione sembra non ricordare le distintive regole di non estradizione della Francia che non sono rivolte certo, come ben sappiamo nel nostro Paese, solo al mondo del cinema. Ciononostante l’appello online ha raccolto oltre 61.000 firme e oggi nei commenti si festeggia il dignitoso ritiro di Polanski, «profondamente addolorato» – ha detto ancora il suo avvocato – dalla controversia.

 

 

Contro il regista aveva preso posizione anche la ministra francese per i diritti delle donne Laurence Rossignol: «Chiamare Polanski è una scelta che dimostra l’indifferenza di chi ha preso questa decisione nei confronti delle accuse che gli sono state rivolte»».
Al suo fianco si sono schierati attori come Gilles Lellouche e François Berléand e l’ex ministra della cultura Aurélie Filippetti, che ha sottolineato come un’imputazione vecchia di quarant’anni non dovrebbe essere rispolverata ogni volta che si parla di Polanski.

 

 

Appena un mese fa la lunga e complicata vicenda giudiziaria del regista era giunta a conclusione in Polonia, dove un giudice ha messo una volta per tutte la parola fine ai tentativi statunitensi di estradare Polanski dal suo Paese natale. «Potrò finalmente sentirmi sicuro nel luogo dove sono nato» aveva commentato il regista, cittadino francese da 40 anni.