Nove pois neri, nel ritratto dipinto da Oscar Ghiglia nel 1902, trapungono il tulle leggero che vela le braccia di Isa Morandini. Nove biglie nere rotolate via dal nero della stoffa dell’abito, non sparse una qua una là, ma fermate in un cert’ordine di corrispondenze che suggeriscono all’occhio di passar dall’una all’altra, secondando una sorta di diagramma musicale. Nel novembre del 1908, Ghiglia esegue Tavola imbandita (olio su tela, cm 55×79).

Sulla tovaglia bianca, un’alzatina di vetro trasparente con un pomo. Una dalia dorata e sei zinnie, gialle e aranciate, rosse e bianche in una brocca di ceramica chiara decorata a volute scure. Una caraffa d’acqua di vetro verdino. E una scatola. Scorgi, disposti innanzi, un pomo, ancora, e una tazza da thè azzurra, un barattolino di rame e una teiera marrone. In primo piano, trattenuta a mo’ di fermacarte da una lucida scatolina d’argento bombata, una sciarpa di seta bianca a larghi pois[ neri, e di nero bordata. Cala dal tavolo con entrambi i lembi e produce l’effetto di due tessere del gioco del domino sospese a mezz’aria. Il tavolo è appoggiato a una parete.

La carta del parato è a fiori geometrici: la corolla schiacciata: quattro petali o celesti o arancio e al centro un bottoncino, il pistillo, o arancio o celeste; un breve stelo e due fogliette aperte come due aluccie: e così quei fiorellini, ben distanziati, posson volare sul muro in ordinato stormo. Ho elencato i singoli oggetti, i fiori e i frutti di Tavola imbandita. Ma un’elencazione, per quanto puntuale, nulla dice delle connessioni, delle correlazioni, delle consonanze che il gioco delle linee, dei volumi e dei cromatismi compone. Non dice nulla della pittura. Per dir qualcosa della pittura di Ghiglia stiamo, di Tavola imbandita, al particolare della sciarpa a pois.

Seguiamone il movimento degli orli neri: segnano percorsi interrotti di anse, di crespe, di pieghe che dimezzano o schiacciano i dischetti neri. Quei cerchi si riflettono, deformati, nella lucida convessità della bomboniera d’argento dove son sottoposti ad una complicata anamorfosi per poi tornare regolari, di nuovo, ciascuno al proprio posto nelle due falde che calano dal tavolo dinanzi a noi. Dunque, osservando il Ritratto di Isa Morandini e Tavola imbandita, si dice di pois, di biglie, e di dischi, di cerchi. E di pomi.

Si dice cioè dello studio di un modulo tondo, circolare, che consente di variare dalla linea chiusa della piana circonferenza alla solida rotondità della sfera. Un modulo che Ghiglia elabora in forme paradigmatiche nel 1912 con Alzata con arance (olio su tela, cm 60×60). Entro gli equilibri del perimetro quadrato, Ghiglia concerta le cadenze di una ridotta gamma di toni caldi, dai gialli ai grigi. Sette sfere giallo oro sono accolte al centro e correlate a forme triangolari in combinazione tale da comporre quasi un monogramma. Uno stemma che costituisce in cifra l’occasione domestica, quotidiana d’una fruttiera, d’un tovagliolo, dei sette aranci comprati ieri al mercato.

Nel 1915, Ghiglia ribadisce in Le mele (olio su tela, cm 38×45) una medesima esattezza di misure ed una perfezione di accenti cromatici avvolti, qui, in una luce ferma. Un verde opaco e una terra separati da grigi azzurrati, i tre toni abbassati tutti, ma non affievoliti o spenti. Densi, al contrario, e portanti, allineati come sono in campiture orizzontali, a sorreggere spicchi di bianchi e d’ombra e quattro globi, uno che vibra di rosso. Ha scritto Llewelyn Lloyd: «una natura morta del Ghiglia, semplice di composizione… È dipinto a luce elettrica ed il brillo nella maiolica del sostegno della fruttiera, senza trucco d’alterazione di toni, domina i bianchi e scintilla di elettrica luminosità». In Alzata con arance e in Le mele Ghiglia stabilisce una formula che si rivela paradigmatica. I due dipinti vanno indagati come canonici e adeguati punti di partenza d’una poetica ed esemplari d’un comporre in pittura. Danno avvio a un rigoroso filone di ricerca che contrassegna l’opera di Giorgio Morandi. E, a guardar nel profondo, per il loro costrutto d’emblema, stanno a presupposto, a matrice del formulare in conio di Giuseppe Capogrossi.