Dalle esperienze pionieristiche dei Cantacronache di Torino del 1958, alla collaborazione di Pier Paolo Pasolini con Sergio Endrigo prima e Domenico Modugno poi; dagli spettacoli di Paolo Poli e Laura Betti, con testi di Moravia, Arbasino, Parise, Flaiano, fino ad Automobili del 1976, il disco della rottura tra Roberto Roversi e Lucio Dalla.
Tu parlavi una lingua meravigliosa. Quando la canzonetta divenne poesia, curata da Giuseppe Garrera e Igor Patruno, espone presso le sale del Castello di Santa Severa a Santa Marinella (Roma) dal 18 luglio al 13 settembre, dischi originali e rari, libri, documenti e foto. «L’intento – spiega lo scrittore Igor Patruno, curatore della mostra insieme al collezionista Giuseppe Garrera – è quello di fare il punto, per la prima volta, su un’avventura poco nota della poesia e della canzone italiana degli anni Sessanta e Settanta, ossia il tentativo, messo in atto da poeti e scrittori come Calvino, Flaiano, Fortini, Moravia, Pasolini e altri, di utilizzare la canzonetta, la musica leggera e il mercato del vinile, per creare prodotti popolari e di qualità».
In esposizione delle vere e proprie perle, come l’unico 45 giri dei Chetro & Co., uscito nel 1968 per la piccola etichetta Parade di Vincenzo Micocci, contenente i brani Danze della sera (suite psichedelica) e Le pietre numerate. Danze della sera contiene dodici versi tratti da L’usignolo della chiesa cattolica.

DISCHI PARLATI
La mostra dà conto anche delle incisioni discografiche di poesie. Dopo l’incredibile successo del Lamento di Garcia Lorca recitato da Arnoldo Foà nel 1955, diverse etichette importanti, come la Rca, iniziarono a praticare la strada della produzione di dischi di letture poetiche, da Petrarca a Dante, da Foscolo a Leopardi. In questo improvviso interesse per il disco poetico, Italo Calvino cura, nel 1967, la di registrazione per la Rai de L’Orlando furioso di Lodovico Ariosto. Saranno coinvolti Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà, Alberto Lupo, Giancarlo Sbragia. I sette long playing in cofanetto verranno pubblicati e commercializzati dalla Cetra. Accanto ai progetti di letture di classici da parte di attori, l’industria discografica degli anni Sessanta ha percorso, con molte cautele, la strada delle incisioni delle voci dei poeti contemporanei. Resterà una pratica limitata. Le poche registrazione stampate su vinile di Pasolini, Vittorio Sereni, Ungaretti, Quasimodo, Montale, testimoniano le scarse aspettative dei discografici per questo tipo di operazione. Verso la metà degli anni Settanta, Sergio Endrigo avvierà una collana di 33 giri dedicata a poeti dialettali italiani, registrando le voci di Ignazio Buttitta e Biagio Marin. Le vendite saranno disastrose e la Eri sospenderà le pubblicazioni. La critica alla canzonetta e il conseguente progetto di fondare una nuova canzone leggera, nasce da due considerazioni. La prima è l’avversione per l’idea dominante della canzone come assoluto intrattenimento; ovvero come ottundimento delle coscienze. La seconda è mutuata da Pasolini. Quando il poeta definisce la canzonetta una forma di idiozia, articolando il ragionamento a partire dall’analisi di testi e musiche, articola una critica più politica che estetica. «Si può dire che l’odierna canzonetta», aveva scritto nel 1956 il poeta sulla rivista Avanguardia, «non sia che un aspetto della diffusione ideologica della classe dominante sulla classe dominata. Stando così le cose, non vedo perché sia la musica che le parole delle canzonette non dovrebbero essere più belle. Un intervento di un poeta colto e magari raffinato non avrebbe niente di illecito. Anzi, la sua opera sarebbe altamente raccomandabile». Insomma, poiché la canzonetta imperante a Sanremo è incapace di rappresentare il reale, quindi la pena economica del vivere e qualsiasi riferimento alle tensioni politiche e sociali, occorre rifondarla.
Nell’estate del 1958 esce il disco Cantacronache, sperimentale, con quattro canzoni, due delle quali, Canzone triste e Dove vola l’avvoltoio?, su testi di Italo Calvino. Il progetto dei Cantacronache, animato da Sergio Liberovici, Fausto Amodei e altri musicisti torinesi, è proclamato sul retrocopertina da Massimo Mila: «Ciò che ci proponiamo, al di là della polemica o della rottura, è di evadere dall’evasione, ritornando a cantare storie, accadimenti, favole che riguardino la gente nella sua realtà terrena e quotidiana». Canzone triste racconta di due operai della Fiat, personaggi fin troppo reali, impossibilitati a praticare l’intimità a causa dei turni di lavoro. I due sposi per recarsi in fabbrica prendono il tram. L’elemento pendolare è una finestra sul reale. Lei sale sul tram al mattino presto, lui appena finisce il turno all’alba. Quando lo sposo entra nel letto, la sposa sta entrando in fabbrica.
Franco Fortini, nel 1960, scrive Canzone della marcia della pace, poi nota come Fratelli d’Italia, una marcetta improvvisata insieme a Fausto Amodei durante la prima marcia per la pace Perugia-Assisi. Una versione sarcastica dell’inno nazionale, dove si rappresenta l’accontentarsi, ovvero l’assurdo essere soddisfatti di una piccola casa, di una piccola moglie, di un piccolo lavoro, di una piccola coscienza, di un piccolo pentimento, di una piccola utilitaria Fiat, di una piccola pietà, di una piccola morte, di una piccola messa e di un dio per tutti.
Quella cosa in Lombardia nasce nel 1961 come contributo di Fortini per lo spettacolo Giro a vuoto, di Laura Betti. A cantare in prima persona è una donna, una fidanzata. È domenica, il giorno della festa. La ragazza, si rivolge al proprio compagno invitandolo a cercare un posto dove fare l’amore: «Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?/ Non ho detto “andiamo a passeggiare”/e neppure “a scambiarci qualche bacio”./Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?/Dico proprio quella cosa che sai,/ e che a te piace, credo, quanto a me!». Una donna invita il suo uomo a riscoprire il senso profondo della festa, e il fare l’amore diventa una rottura degli schemi imposti dal potere.

LA CENSURA
Per la prima edizione di Giro a vuoto, che debutta il 16 gennaio 1960 al Teatro Gerolamo di Milano, Pasolini contribuisce con tre canzoni in romanesco, Valzer della toppa, Macrì Teresa detta Pazzia e Cristo al Mandrione. Tre testi legati al lavoro sulle borgate, sul sottoproletariato, sul dialetto. Valzer della toppa, portata al successo da Gabriella Ferri, entrerà nel repertorio classico della canzone romanesca. Racconta di una prostituta che essendo ubriaca, la toppa è la sbronza, decide di non lavorare per una notte. Se ne va in giro per Testaccio e vive l’illusione di poter godere della vita: «Anvedi le foje!/Anvedi la luna!/Anvedi le case!/E chi l’ha mai viste co’ st’occhi?/Me viè da cantà». C’è la meraviglia per la natura, per i luoghi vissuti dal popolo. Pasolini inscena la santità della gente umile e semplice.
L’affermazione del poeta di Casarsa come paroliere è però legata a due canzoni in italiano. Il soldato di Napoleone, musicata e cantata da Sergio Endrigo e la struggente Cosa sono le nuvole cantata da Domenico Modugno. La prima affronta il tema della guerra, raccontata dalla parte di chi la subisce. La canzone sarà censurata per due versi: «Vincenzo gli squarcia il ventre, la sua baionetta/E dentro vi ripara la vita che gli avanza». Versi troppo crudi, troppo reali per le coscienze addomesticate dal piccolo schermo. Cosa sono le nuvole è la rappresentazione dello strazio di vivere. Per Pasolini la voce di Modugno incarna lo struggimento, le parole hanno una funzione puramente vocalica: permettere alla voce di esprimere, attraverso la musica, l’insopprimibile nostalgia del vivere.
«È sintomatico», spiega Giuseppe Garrera, «che molta di questa produzione sarà colpita dalla censura, e non passerà l’esame per le trasmissioni Rai. Alcuni versi del Soldato di Napoleone saranno ritenuti “disgustosi”, Quella cosa in Lombardia “indecente” per il ritratto di ragazza che ne esce fuori. Tutta la produzione di Fortini è esplosiva e non verrà trasmessa. Anzi, per Canzone della marcia della pace il poeta sarà denunciato al Tribunale militare di Torino per vilipendio della patria e delle Forze Armate». La censura colpirà tre versi pasoliniani di Danze della sera dei Chetro & Co. «(no, non piango, non rido)/in questo cielo il dio/che io non so né amo». Intervista con l’avvocato, scritta da Roberto Roversi sarà addirittura tagliata in studio dalla stessa Rca e la pubblicazione di Automobili, accettata da Lucio Dalla nonostante la censura, porrà fine alla collaborazione tra i due.