Il fascino di Apollinaire, inquieto indagatore di intrecci tra poesia, immagine e cultura esoterica, ha accompagnato i pittori nei loro percorsi trasversali e molti hanno illustrato le sue poesie e ne hanno lasciato un ritratto: tra i più noti Picasso, Picabia, De Chirico, Marcoussis, non a caso artisti non di origine francese, e Delaunay. Ludwik Kazimierz Wladyslaw Markus è di origine polacca, per parte di madre, come Apollinaire (Wilhelm Apollinaris de Kostrowitsky), che gli consiglia di cambiare il suo nome in quello, francesizzante, di Louis Marcoussis, dal nome di un villaggio presso Parigi. I due si sono conosciuti nel 1910 e sono molto amici: Apollinaire ne ammira le incisioni e lo considera «il più nuovo dei cubisti», e Marcoussis, che ama molto la poesia (chéri des poètes lo chiamerà Éluard), nel 1912 ne esegue il primo ritratto. In un intervallo delle sedute di posa per l’amico, Apollinaire gli legge Zone, che aprirà la raccolta di poemi Alcools, apparsa nel 1913 e in seguito riedita più volte. In una preziosa raccolta di Gallimard del 2018 sono riprodotti un esemplare unico del 1913 corredato di acquarelli di Marcoussis e l’edizione del 1934 curata dall’artista stesso con una serie di acquaforti, tra cui un gustoso Apollinaire en prison (per un giorno sospettato del furto della Gioconda del 1911), con il poeta sconsolato dietro alle sbarre. Ma nella prima edizione di Alcools l’artista non vuole inserire il suo ritratto, perché sa che Picasso ne ha fatto un altro, che infatti vi appare. Conosce bene anche Picasso, che entra in relazione con quella Eva, già sua amante, nota dai dipinti Ma Jolie e J’aime Eva. Marcoussis non se la prende: sposerà subito dopo una pittrice polacca, Alice Halicka.
In questo primo Ritratto di Guillaume Apollinaire, indicato in genere come acquaforte per Alcools, e seguito da molti altri, tutti con l’immancabile pipa, la scansione dello spazio e dell’immagine è cubista, ma con una ricerca fisionomica e con l’accentuazione dei moduli quadrangolari suggeriti da Metzinger e ben presenti anche in Gris, i due pittori più frequentemente citati accanto a Marcoussis. Questi, come Gris, ha esordito come caricaturista, poi, pur conoscendo Picasso, che in seguito non lo apprezzerà gran che, espone insieme ai «cubisti dei Salons». Nell’ottobre del ’12 lo troviamo alla mostra della Section d’Or, dissidente dal cubismo di Picasso e Braque, accanto a Jacques Villon, che ne ha suggerito il titolo, al fratello Marcel Duchamp, a Gleizes, Metzinger, Léger, Gris, Picabia e altri. È in questo momento che Apollinaire si appresta a immaginare l’orfismo, destinato a sostituire un cubismo ormai morto. Nella Section d’Or, in realtà, convivono due (o più) anime: da un lato la tendenza all’astrazione, all’immedesimazione nell’idea musicale, alla rivisitazione del mito, sulla scia di Orfeo, dio della luce e del canto immortale; dall’altro al recupero della «sezione aurea» attraverso la rilettura del Trattato di Leonardo e alle simpatie pitagoriche diffuse nelle cerchie simboliste e cubiste. Mito e geometria si intrecciano nelle divergenti tendenze, incontrandosi in una particolare declinazione del «classico», presente anche nella posizione rivoluzionaria di Apollinaire poeta e critico d’arte. Marcoussis, in seguito interessato al sogno e al mistero, come noterà Bachelard, di cui nel 1940 illustra Les devins, e come si vede nelle incisioni per Aurélia ou le rêve et la vie di Gérard de Nerval, ora assume, nel gruppo, una posizione «razionale», tipica di quel misticismo del numero che contraddistingue le teorizzazioni cubiste, e con il suo ritratto intende dimostrarlo ad Apollinaire. Cubista intende rimanere anche quando, dopo la fine della guerra, i compagni considerano la prima avanguardia un’esperienza conclusa. Marcoussis partecipa alla seconda mostra della Section d’Or nel 1920, presso la stessa Galerie La Boétie in cui aveva avuto luogo la prima, pensata ora da Gleizes come dimostrazione di un cubismo ancora in vita, di cui vuole ricostituire un gruppo. Sono esposte opere di Jacques Villon, Léger, Braque, Survage, Lhote e di scultori più o meno vicini al cubismo come Duchamp-Villon, Archipenko, Brancusi, Laurens, ma ci sono anche esponenti di De Stijl, del Bauhaus, del costruttivismo e del futurismo. In questa composita compagnia solo Marcoussis espone opere propriamente cubiste. Ma l’esperimento non ha successo.
Ritornando ai ritratti, Marcoussis fornisce un canone che non indulge alle evasioni dell’orfismo. La struttura compositiva del primo è singolarmente vicina a uno studio di Metzinger per un Ritratto di Apollinaire, del 1910, citato dal poeta come «primo ritratto cubista». Marcoussis inserisce uno sfondo in cui è ripresa la tecnica del cubismo analitico nell’inserimento delle scritte che citano opere del poeta: ma è un cubismo di figura e geometria elementare, assai meno ermetico rispetto alle opere coeve di Picasso. Nel ritratto qui riprodotto, le scritte sono ancora più integre: si legge L’Hérésiarque et Cie, L’Enchanteur pourrissant, Bestiaire ou le cortège d’Orphée e Alcools, apparso nel 1913; mentre in alto appare il suo nome in polacco, ed è suggerita anche la fascia alla testa in memoria della ferita riportata in guerra.
Termini «classici» e rapporto con la tradizione sono ricorrenti nella poetica e nella critica del cubismo. L’allusione alla «pittura pura» si accompagna in Apollinaire all’idea della realtà dell’opera intesa come «Sublime» già nel 1908 da Derain e da Picasso: del 1912 è il saggio De Michel-Ange à Picasso. Nel 1908 scrive Les trois vertus plastiques, che sono «verità, purezza ed unità», un enunciato quasi neoclassico a lui molto caro, se lo inserirà nel 1913 in apertura di Les peintres cubistes. Nel marzo del 1912 è entusiasta della Ville de Paris di Delaunay, da questo momento il suo pittore prediletto, in cui le tre Grazie pompeiane rievocano il recupero di una costruzione «semplice e nobile». Nella stessa occasione, in sintonia con l’amico André Salmon, ribadisce l’importanza della lezione di Ingres (peraltro già studiato da Cézanne e da Picasso) e parla dell’aspirazione degli artisti a realizzare delle «opere definitive», con cui intende una realizzazione compiuta come nell’arte classica. Salmon e Max Jacob fiancheggiano Apollinaire, riconoscibile nel suo consueto faccione ovale, in Les trois poètes del 1926, di una struttura estremamente «sintetica» ed essenziale.
Metzinger rivela una nostalgia per il «classico», in termini di «bellezza» e «assoluto»: nel Du Cubisme, pubblicato insieme a Gleizes alla fine del ’12, e prima ancora, riferendosi all’allegorica L’Abondance di Le Fauconnier, nella Note sur la peinture (1910) e in Cubisme et tradition (1911). Siamo intorno agli anni dei due ritratti di Apollinaire, quello di Metzinger del 1910 e quello di Marcoussis del ’12. Anche nei dipinti il cubismo di Marcoussis poggia solidamente su moduli geometrici: nella contemporanea Nature morte au damier il tema della scacchiera, presente anche in Gris, è simbolo di una rappresentazione dello spazio in cui la modularità e l’essenza geometrica delle cose hanno sostituito la concezione visiva.
In Les peintres cubistes (dove Marcoussis, in una nota successiva, è aggiunto al cubismo «scientifico» di Picasso, Braque e Gris), per Apollinaire «le figure geometriche sono l’essenziale del disegno» e «la geometria è stata in tutti i tempi la regola stessa della pittura». Delaunay intanto proclama «plus de géometrie», e infatti già non c’era più geometria nel suo fantasmatico schizzo, del 1911-1912, per un Ritratto di Apollinaire. Marcoussis, forse meno coraggioso, o forse più fedele, si arresta alla fase del recupero del classico di Apollinaire. Non lo segue oltre, né nella concezione dell’orfismo, né in quel «surnaturalisme» e in quel «métaphysique» che informano la sua ammirazione per De Chirico, l’autore del più famoso Ritratto di Guillaume Apollinaire (1914), con gli occhi oscurati del poeta-veggente.