«Qualcuno sta uccidendo gli autori, uomini e donne che riempiono le pagine di questo volume».

È dai bracci della morte delle carceri statunitensi che arrivano molti dei versi raccolti in «Poeti da morire», il volume curato da Marco Cinque e Beppe Costa, che si avvale delle note introduttive di Margherita Hack e Luigi Pintor, pubblicato da Pellicano Sardegna (pp. 132, euro 12) in una riedizione allargata del testo uscito nel 2007.

Come spiega Cinque, da tempo attento osservatore dei movimenti amerindiani e delle vicende legate alla carcerazione di massa e alla pena di morte negli Usa, a proposito del libro – che si compone di una prima parte di versi e di una seconda di interventi contro la barbarie della pena capitale -, «molte di queste voci sono già state spezzate lasciandoci solo la loro eco attraverso la parola scritta».

Il valore di queste testimonianze estreme si proietta perciò nel futuro come un grido di rivolta. Così, sottolineava Luigi Pintor, pagine e versi ci aiutano «a capire che fino a quando la pena di morte esisterà, anche in un solo angolo della Terra, l’umanità non sarà uscita dalla barbarie».

Ciò che Karl L. Guillen, recluso nel braccio della morte di Florence, in Arizona, descrive come «l’umanità barattata con l’avidità e l’impudenza (…) Ascoltate tutti! Ho visto la nostra vergogna».