Ben è un pittore, George insegna musica agli studenti di una scuola cattolica. Il loro sono un rapporto sereno, collaudato da quarant’anni. Visto che adesso la legge dello stato di New York lo permette, nessuno si stupisce quando decidono di sposarsi. Ma le foto del viaggio di nozze a Petra postate su Facebook non piacciono ai superiori di George, e l’insegnante perde il posto. Per far fronte al nuovo regime di vita, i due devono vendere il confortevole appartamento in cui abitano e, mentre ne stanno cercando un altro, sono costretti a una dolorosa e scomoda separazione. Ben va quindi a stare con la famiglia di suo nipote, che include un teen-ager ombroso e insicuro, e George viene ospitato sul divano di una coppia di amici poliziotti, che adorano fare feste a tarda notte. Così la loro storia si rivela ai nostri occhi attraverso gli ostacoli che incontrano, nella continua tensione tra l’essere separati fisicamente eppure sempre insieme, in un senso molto più profondo.

 

 

Il titolo originale del nuovo film di Ira SachsLove is Strange – è ingannevole, perché non c’è nulla di «strano», nell’amore di Ben e George, interpretati con grande delicatezza di sfumature da John Lightow e Alfred Molina. Si tratta di una coppia felice, stabile, che, davanti a un bicchiere in una taverna del Village, ricorda con orgoglio le lotte per i diritti gay nella Christopher Street fine anni sessanta, ma che oggi conduce un’esistenza «normale», circondata da amici e famiglia. Sono normali anche i problemi che li affliggono: l’improvvisa difficoltà economica, la trafila degli uffici governativi dove si cerca lavoro o una casa, la tristezza di dirsi addio la sera, davanti alla fermata della metropolitana – il tutto complicato dal fatto che non sono più giovani. A casa del nipote, la presenza di Ben in un appartamento troppo piccolo per un abitante, crea attriti con la moglie scrittrice (Marisa Tomei) e un violento confitto generazionale con il ragazzo, nonostante l’affetto che tutti provano per Ben.

 

 

In quello che sembra finora il più «mainstream» dei suoi film, Ira Sachs racconta questa normalità e le inevitabilità che lo accompagnano con dolce, malinconica, sicurezza e abili ellissi narrative, che danno al film l’andamento imprevedibile di una poesia. Si tratta di una poesia molto newyorkese (il regista è nato a Memphis, ma ha vissuto molti anni a New York), perché anche la città è un personaggio – con i suoi quartieri, la luce, le sue generosità, le durezze. L’autunno è la stagione della vita che Ben e George stanno attraversando. Ed è un magnifico autunno newyorkese che domina sulle stagioni del film, il cui tono – ha detto Sachs – è stato influenzato da Hanna e le sue sorelle e Mariti e mogli, di Woody Allen

 

 

Il film precedente del regista, Keep the Lights On, era parzialmente autobiografico. E, ha detto lui, anche in questo ha voluto inserire cose che derivavano dalle esperienze che ha attraversato recentemente. É anche, in un certo senso, la sua prima commedia.
Nonostante il suo cinema sia praticamente nato (con The Delta, nel 1997) e cresciuto al Sundance Film Festival, Sachs (un favorito anche del festival di Berlino) è sempre stato qualche passo più avanti della produzione indipendente media predicata dal festival di Redford, il suo un racconto più libero e meno conciliato. A tratti l’aspirazione di un Fassbinder del Tennessee. Rispetto ai suoi lavori precedenti, Love is Strange è il film più circolare, «riuscito» e accessibile. Non a caso la Sony Classics, che lo distribuisce in Usa, lo vede come un cavallo su cui puntare nella corsa agli Oscar.