Dispute strategiche, discussioni sulla composizione degli organi dirigenti, chi rinuncia e chi sbraita, un Podemos diviso, che si guarda l’ombelico.

I vincoli di amicizia saltati per aria, gli attivisti che prima hanno cambiato il sistema politico, ma poi si sono fatti divorare. Eppure una forma di partito e un gruppo dirigente dovranno venire fuori dalle votazioni e dall’Assemblea Cittadina.

Le femministe di Podemos non vogliono perdere questa occasione, la chiamano opportunità storica, e lavorano ai fianchi per non permettere che il femminismo sia, ancora una volta, la bella e giusta causa sempre rinviata. In questo processo di cambiamento chiedono che venga riconosciuto il potere politico del femminismo, evitandone la strumentalizzazione e garantendone l’autonomia, come qualcosa che potrà essere raggiunto solo mettendo in discussione le reti maschili che sempre cercano di tenere alla larga le donne dall’agire politico. Il contributo femminista a quale forma di partito, quale politica e come farla è tutto nel documento Ruta Morada. Morada è per il colore viola, tipico delle maree violette delle donne spagnole e caratteristico di Podemos. La Ruta è la strada che, dal primo incontro è passata per le elezioni che hanno portato delle femministe al governo delle più grandi città spagnole e, animando le manifestazioni contro la violenza maschile contro le donne, ha portato le femministe dentro il partito a declinare la loro idea di economia, di amministrazione, di gestione della cosa pubblica e di depatriarcalizzazione di Podemos e di quello che gli gira intorno, spingendo per un cambio di pratiche e di forme, dal basso.

Sapendo bene che i partiti sono lo specchio delle relazioni di potere che abitano la vita quotidiana. Il documento, incorporando le tante richieste fatte nei vari forum e incontri, diventa un punto di riferimento di un femminismo plurale. Ma non è una candidatura per la direzione. È oltre.

Si colloca come soggetto politico sulla scena dell’Assemblea Cittadina, un poco la ruba, si delinea come alternativa e insieme come filo conduttore. Chi presenta un documento finale e vuole incorporare le proposte di Ruta Morada, può farlo, può contaminarsi, per declinare le proprie proposte da un approccio femminista, alterando non solo i rapporti di forza, ma il contenuto della controversia e la tensione narrativa.

L’analisi parte dal contesto di cambio che vive la Spagna, dalle diverse crisi simultanee, interconnesse e interdipendenti: una crisi economica, una crisi di rappresentanza, una crisi ecologica, una crisi dei diritti. Queste crisi hanno avuto un impatto maggiore sulle donne e hanno inasprito ancora di più le disuguaglianze già esistenti. Nelle indicazioni delineate dalle femministe di Podemos le tematiche da affrontare ci sono. Si parla di decentralizzazione, di territorialità e di plurinazionalità nominando i corpi come territori politici e, in questo nesso, si articola il diritto a decidere, perché non ci può essere giustizia di genere senza uguaglianza e senza democrazia radicale. Si reclama maggiore presenza di periferia territoriale come di periferia tematica, nell’organizzazione e nel discorso politico, per costruire una nuova centralità collettiva, per fare fronte al pensiero unico che, ancora troppo spesso, è tutto maschile.

Si sottolineano le pratiche comuni e le forme di partecipazione, si parte ancora dal popolare slogan «il personale è politico» per puntare direttamente all’idea che quello che c’è da fare nel privato delle vite materiali è lo stesso che si vuole per l’ambito pubblico. La cooperazione, la partecipazione, la diversità e la sostenibilità della vita deve avere un impatto reale nel partito per poterlo realizzare nella società che si vuole costruire.

Le Podemiste non parlano mai di un solo femminismo, né di una sorellanza universale, ma di femminismi, al plurale, e di intersezionalità come principio politico imprescindibile per un cambio reale. Perché le identità sociali si sovrappongono e si intersecano. Non esistono le donne come categoria astratta, ma individui con peculiarità diverse da considerare.

Migranti, anziane, giovani, disabili, precarie, povere, ricche, disoccupate, gitane e molto altro. E poi tutte le declinazioni di generi e di orientamenti sessuali. Una metodologia intersezionale è indispensabile oggi per comprendere diversità e esigenze. È strumento non solo per l’analisi, ma è pratica e dialogo femminista. Per rispondere alle esigenze della comunità nel suo insieme e per la necessità di prendersi cura nel cuore della politica e delle istituzioni.

Le femministe hanno scritto un intrigante libretto di istruzioni, adesso è meglio non dargli solo un’occhiata per copiare e incollare qualcosa, pensando di sapere già come far funzionare il tutto.