«Per cambiare le cose, bisogna essere dentro il governo». Riassume con queste parole Ione Belarra, trentenne deputata di Unidas Podemos, nella scorsa legislatura viceportavoce del gruppo, il principale obiettivo del gruppo parlamentare che si costituirà il 21 maggio nel Congresso.

Martedì, Pedro Sánchez ha chiuso le miniconsultazioni con i 3 leader dei principali partiti: l’ultimo è stato proprio Pablo Iglesias, che stavolta – al contrario che all’inizio della scorsa legislatura – ha fatto sfoggio di tutta la prudenza e diplomazia possibile, affermando: «Siamo d’accordo che dobbiamo trovare un’intesa, ma ci vorrà tempo». Il primo appuntamento è la costituzione della presidenza delle camere (il presidente del senato sarà il socialista catalano Miquel Iceta, federalista dichiarato, ma la poltrona del Congresso, più pesante, è ancora in ballo). Solo dopo le elezioni del 26 (europee, municipali e regionali) i giocatori cominceranno a muovere le pedine.

Belarra, come legge i risultati di queste elezioni?

Noi abbiamo basato questa campagna sulla verità. Siamo gli unici che abbiamo detto che in Spagna comandano persone, grande industria e banche, che non si presentano alle elezioni. Abbiamo detto che erano elezioni costituenti, che avrebbero segnato un nuovo scenario politico e sociale. E i risultati ci hanno dato ragione: quando la partecipazione è massiccia, il sentire maggioritario è verso il progresso e il miglioramento. E poi, il crollo del Pp, travolto dalla sua corruzione. Nonostante tutto, insieme, le destre hanno ricevuto molti voti, e l’entrata di Vox nelle istituzioni, per quanto più limitata del previsto, è preoccupante. L’unico modo di combatterle è garantire diritti e smontare il loro discorso dell’odio al diverso.

La situazione è migliore o peggiore rispetto a 3 anni fa, quando avevate un milione e 200mila voti in più?

Ci sarebbe piaciuto avere più voti, è ovvio (Podemos ha preso il 14%, ndr). Ma il risultato ci fa imprescindibili e ci permette di raggiungere i nostri obiettivi: frenare le destre, costruire un governo di coalizione, avanzare verso l’uguaglianza, costruire un orizzonte verde per combattere il cambiamento climatico e la lotta contro la precarietà. Dobbiamo stare nel governo. I poteri economici vorrebbero un governo del Psoe, o un’alleanza con Ciudadanos. Il giorno dopo le elezioni lo hanno detto esplicitamente: vogliono un governo senza Podemos. Essere responsabili e dire quello che secondo noi è meglio per il paese ci ha danneggiato? Forse, anche perché spesso a capitalizzare le nostre proposte sono stati i socialisti. Ma stiamo meglio, sì: senza Rajoy, senza le «cloache di stato» (gli spionaggi politici di cui sono stati vittime fra gli altri Podemos e gli indipendentisti, ndr), con il femminismo e i movimenti sociali al centro del dibattito: siamo il motore del cambiamento in Europa.

Già, ma Psoe e Ciudadanos, se volessero, avrebbero la maggioranza assoluta.

Ma il governo con maggiore appoggio sociale – lo dicono tutti i sondaggi, e lo dicono sia gli elettori socialisti che i nostri – è un’alleanza con noi e con altre forze. Il Psoe lo hanno votato molte persone per paura della destra e perché governasse con noi, pensando che la collaborazione che gli abbiamo fornito in questi mesi ora si può trasformare in un’alleanza di legislatura.

Come pensate di riuscire a convincere il Psoe a farvi entrare nel governo?

La responsabilità di cercare i numeri per l’investitura è del Psoe. Noi abbiamo chiesto il voto per governare, e questo è il nostro mandato. D’altra parte, in Europa la norma sono governi di coalizione, non governi monocolore. Il nostro paese si è evoluto politicamente, grazie anche agli indignados del 15-M e al movimento femminista dell’8-M. Pablo è stato il migliore nei dibattiti perché era il più propositivo e dialogante, noi questo l’abbiamo capito e vogliamo metterlo in pratica.

Facile dirlo quando si ha la metà dei voti dei socialisti.

In politica bisogna fare pedagogia. Le cose non cambiano da un giorno all’altro. L’arte politica è quella di essere capaci di convincere e di fare le proposte migliori. Il 90% della finanziaria che i socialisti avevano presentato (senza riuscire a farla approvare, ndr), erano proposte nostre. Questa è la nostra ispirazione: convincere facendo proposte innovative.

Che avete imparato in questi anni?

Abbiamo fatto una riflessione interna profonda: le guerre intestine ci hanno fatto vergognare, non siamo stati all’altezza della responsabilità che ci hanno dato i cittadini. Abbiamo anche imparato che stare nel parlamento non basta: senza le mobilizzazioni è difficile mettere al centro le istanze della società, pur essendo convinti di essere lo strumento del cambio.

Avete imparato anche che se i partiti di sinistra non litigano vincono?

Più che altro è una questione di tono. Le nostre proposte sono ancora più radicali di tre anni fa: la proposta che le banche non possano finanziare le campagne elettorali dei partiti, e i mezzi di comunicazione, oppure la tassa alle banche: sono proposte di radicalità democratica verso cui il Psoe è reticente. Ma abbiamo imparato che possiamo mettere sul tavolo queste proposte abbassando i toni e cercando di metterci d’accordo per arrivare a qualche risultato, come con il salario minimo: lo volevamo più alto, ma è comunque l’aumento maggiore di tutta la democrazia, e ha cambiato la vita delle persone.

Raggiungendo che obiettivi si sentirebbe soddisfatta alla fine di questa legislatura?

Gli obiettivi che marca la società civile. Un paese più femminista, in cui per esempio il codice penale dica che solo un «sì» è «sì» in una relazione sessuale. La lotta contro il cambiamento climatico, e che si avanzi verso un aumento della produzione di energia rinnovabile. La garanzia della stabilità del lavoro, cancellando le due riforme del Pp e del Psoe degli anni passati. La lotta contro la corruzione e a favore della trasparenza, per evitare nuovi casi «cloaca». E l’obiettivo «zero morti nel Mediterraneo», articolando vie legali e sicure per l’immigrazione. Mi piacerebbe riuscire a convincere il Psoe che è l’unico modo di emigrare in modo degno.

Con 5 fra deputati e senatori in carcere, il problema catalano segna ancora l’agenda politica.

Ci troviamo qui per colpa della politica di ricentralizzazione del Pp e per l’esagerazione delle reazioni degli uni e degli altri. Noi proponiamo da sempre una strada dialogata e democratica. E non può essere che leader politici votati da milioni di persone siano in carcere: è inconcepibile, questa anomalia deve cessare.

Podemos ha bisogno di una nuova leader?

I risultati elettorali ci hanno portati a essere molto più vicini al governo, quindi a raggiungere uno dei nostri obiettivi. Detto questo, se c’è un partito maturo per essere guidato da una donna, quello è Podemos. Ma ora il dibattito non è su di noi, ma sul futuro del paese.