Sono sei milioni e mezzo gli andalusi che oggi sono chiamati (anticipatamente) alle urne per eleggere i 109 deputati del parlamento della loro comunità autonoma. Non sono semplici elezioni locali. Innanzitutto perché l’Andalusia rappresenta il 20% della popolazione spagnola. La regione, poi, è da sempre roccaforte socialista: dalla fine della dittatura a oggi, questa comunità è sempre stata governata dal Psoe (in solitario o in coalizione). L’attuale presidente, Susana Díaz, è anche astro emergente all’interno del disastrato partito socialista, il cui leader nazionale, il giovane e ambizioso Pedro Sánchez, eletto meno di anno fa, non sembra essere riuscito a unire un partito i cui risultati sono in caduta libera dall’inizio della crisi. Oggi sarà anche la prima volta che Podemos si misurerà con delle elezioni da quando si è strutturato come vero e proprio partito. L’equilibrio fra le forze politiche che emergerà stasera alla chiusura dei seggi servirà infine come termometro per tutti gli altri appuntamenti elettorali dell’anno: le elezioni amministrative di maggio (si vota in quasi tutti i comuni e nella maggior parte delle comunità autonome), le delicate elezioni in Catalogna a settembre e infine le elezioni politiche che verranno convocate a fine anno.

Una cosa è certa: i partiti tradizionali (Pp, Psoe e Izquierda Unida), gli unici tre presenti nel parlamento di Siviglia, sono destinati a lasciare spazio ad almeno due (se non tre) partiti che stanno sgomitando: Podemos, che aspira all’egemonia a sinistra del Psoe, Ciutadanos che, nutrito della stessa retorica contro il sistema, succhia voti soprattutto a destra (anche se si presenta come di centrosinistra) e forse UpyD, che da tanti anni vanta una piccola rappresentanza nazionale “alternativa” al Pp-Psoe, ma che di fatto, come Ciutadanos, ruba più voti a destra che a sinistra.

Alle elezioni anticipate in Andalusia si è arrivati quando a gennaio Susana Díaz ha deciso di rompere l’alleanza con Iu, che aveva riportato i socialisti al governo della regione dopo che il Pp nel 2012 per la prima volta li aveva superati di misura. Ma grazie all’accordo postelettorale, i socialisti erano tornati a governare sulla base di un patto fortemente marcato a sinistra, che in questi anni ha portato l’Andalusia a prendere decisioni emblematiche, come quella di espropriare temporaneamente le case vuote delle banche per darle alle famiglie che ne avevano bisogno (una norma impugnata dal governo centrale). Ma delle 26 leggi accordate fra Psoe e Iu all’inizio della legislatura, solo due sono state approvate. Questa la ragione del nervosismo di Iu, che aveva minacciato la presidente di sottoporre a un referendum fra i propri iscritti la decisione sul futuro dell’alleanza. Nonostante questo, Iu e il Psoe avevano raggiunto un accordo sul bilancio 2015, approvato pochi giorni prima dello scioglimento anticipato della camera andalusa da parte della presidente della comunità.

Díaz aveva altri calcoli politici in mente. Forse cercando un rafforzamento politico (è diventata presidente nel 2013 dopo che il suo predecessore José Antonio Griñán, aveva deciso di lasciare la prima linea per gli scandali di corruzione che stavano colpendo il partito), forse sperando che Podemos, che in Andalusia non ha eletto il segretario locale, non fosse ancora forte, forse con la mezza idea di sperimentare a livello locale un patto con il Pp (in attesa di vedere che succederà a Madrid), ha deciso contro l’opinione dello stesso segretario del suo partito di convocare le elezioni. Non senza essersi messa d’accordo, lo stesso giorno della rottura con Iu, con il Pp per la nomina di loro rappresentanti nella Camera dei Conti, l’organo deputato al controllo dei conti pubblici andalusi che in questo modo è blindato fino alla fine del 2017, sia quale sia la composizione del prossimo parlamento.

Secondo tutte le inchieste, comunque, il Psoe vincerà, ma solo per il crollo del Pp. I sondaggi gli attribuiscono intorno al 35% (era al 40 nel 2012), mentre il Pp, che nel 2012 aveva un punto più del Psoe, stavolta non supererebbe il 27-30%. Iu, che lotta per mantenere i suoi 11 deputati (con 11% nel 2012), rischia di scendere all’8-9%, nonostante il suo candidato Antonio Maíllo, sostenuto dal candidato nazionale Alberto Garzón, sia molto ben quotato. Ma entrerebbero alla grande Podemos, guidata dall’eurodeputata Teresa Rodríguez, della linea critica al segretario nazionale Pablo Iglesias e proveniente dalle file di Izquierda Anticapitalista, con circa il 15%, Ciutadanos con circa il 10-11% e forse UpyD che con il 3% potrebbe entrare con un deputato. Grazie alla maggiore pluralità dell’offerta, stavolta forse l’astensione, al 38% nel 2012, scenderà di qualche punto. Nessuno dei partiti si è sbilanciato sul dopo, ma sembra che lo scenario più probabile sia un’alleanza Psoe-Ciutadanos. Tutto dipenderà dal peso che avranno Podemos e Izquierda Unida.