Il numero di nuove vittime registrate dalla Protezione civile, 474, non deve ingannare: ne incorpora quasi trecento che risalivano al mese di aprile e non erano ancora contabilizzate. Anche se non riguardano le ultime 24 ore, contribuiscono però a portare il totale dei decessi a 28.710. I nuovi casi sono 1.900. Le persone «attualmente positive» sono adesso appena sopra quota 100 mila. Oltre l’80% ha sintomi abbastanza lievi da non richiedere un ricovero.

Ora che la Protezione civile è entrata in silenzio stampa, annullando anche i due incontri settimanali con i media, i numeri parlano necessariamente da soli, continuando a raccontare la loro lenta discesa e a mostrare ancora qualche regione in difficoltà. È il caso del Piemonte, che conta un numero di casi giornaliero paragonabile a quello della Lombardia (495 contro 533) pur effettuando meno della metà dei tamponi (5.911 contro 13.058). A parità di capacità diagnostica, è presumibile che il Piemonte oggi rappresenterebbe il vero epicentro del contagio italiano.

Elevato il numero dei nuovi contagi anche nel Lazio, dove si segnalano nuovi focolai nelle strutture sanitarie. Dopo quello dell’ospedale San Giovanni del 24 aprile, ieri è stato il turno della clinica “Latina”, una casa di cura nello stesso quartiere, in cui sono risultati positivi 10 ospiti e 12 operatori, tutti trasferiti all’Istituto Lazzaro Spallanzani specializzato in malattie infettive. Nello stesso ospedale, ha annunciato la direzione, cominceranno forse già a luglio i test su un nuovo vaccino sperimentale messo a punto da diversi centri di ricerca internazionali e prodotto presso la RaiThera di Castel Romano, pochi chilometri a sud della capitale.

Oltre a quella sui vaccini in vari stadi di sviluppo, continua anche la ricerca febbrile di una cura contro il COVID-19. L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha ulteriormente aumentato il numero di farmaci autorizzati, almeno a livello di sperimentazione, nella cura del COVID-19. Le ultime licenze riguardano il Sarilumab e l’idrossiclorochina, che verrà utilizzata anche come profilassi preventiva tra i sanitari più a rischio. Entrambi i farmaci puntano a fermare la risposta infiammatoria che si osserva nei pazienti più gravi. Inoltre, l’Aifa ha anche concesso l’autorizzazione per «uso compassionevole» per il solnatide, un farmaco sperimentale per il trattamento dell’edema polmonare. Diventano così una dozzina, tra sperimentazioni cliniche e uso compassionevole, i farmaci oggi somministrati ai pazienti COVID-19.

Finora nessuno ha mostrato risultati indiscutibilmente positivi nelle sperimentazioni controllate pubblicate dai ricercatori e la loro utilità è spesso fondata su testimonianze aneddotiche. L’Aifa, che deve giudicarne il potenziale terapeutico in assenza di dati chiari, è in una posizione quanto mai scomoda. Da un lato è bene non precludere alcuna strada alla ricerca, e questo spiega l’avvio di così tante sperimentazioni. Dall’altro c’è il rischio che farmaci con scarsa efficacia o insicuri vengano autorizzati solo a beneficio delle aziende farmaceutiche grazie a campagne di comunicazione ben congegnate. Proprio ieri la Food and Drug Administration, l’equivalente statunitense dell’Aifa, ha autorizzato l’uso dell’antivirale remdesivir prodotto dalla Gilead sulla base di dati preliminari provenienti da una sperimentazione ancora in corso, e nonostante altre evidenze meno positive. Contro eventuali speculazioni, un gruppo di deputati democratici ha chiesto di fissare il prezzo del farmaco a un livello accessibile per tutti, visto al suo sviluppo hanno contribuito anche 700 milioni di dollari di investimenti pubblici.