Un cerotto su una gamba di legno, per far fronte al dramma della disoccupazione giovanile, tensioni persistenti sul bilancio della Ue per il periodo 2014-20, che per la prima volta nella storia sarà in calo e, infine, braccio di ferro tedesco contro l’Unione bancaria. Alcuni paesi, Italia in testa, esultano per i risultati del Consiglio europeo. Enrico Letta mette in avanti addirittura 9 miliardi di euro per combattere la disoccupazione giovanile, 1,5 miliardi per l’Italia. In realtà, per il momento i famosi miliardi restano 6. Invece di essere spalmati su sette anni – cosa che significava più o meno 130 euro a testa l’anno per giovane disoccupato nei 27 paesi – saranno concentrati su due anni, 2014 e 2015 e 13 paesi, quelli che hanno il triste record di una disoccupazione giovanile superiore al 25%, ne saranno i primi beneficiari. Per il periodo dopo il 2015, ci potranno essere altri soldi, ma questi verranno dal bilancio – per la prima volta in calo nella storia della comunità europea – grazie alla “flessibilità”: i deputati europei, che devono ancora approvare il bilancio 2014-20 stabilito a soli 960 miliardi (il voto avrà luogo a settembre), hanno ottenuto che gli stanziamenti non spesi possano essere destinati a un altro settore rispetto a quello per cui erano stati previsti, cosi’ come quelli rimasti in cassa non verranno restituiti ai paesi membri, ma potranno venire utilizzati l’anno successivo. L’Italia sogna 9 miliardi, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, valuta al massimo 8 miliardi. Per François Hollande, che porta a casa 600 milioni di euro che saranno destinati alla “garanzia giovani” di 300mila persone, verranno utilizzati “tutti i margini di manovra supplementari che potranno essere liberati dal 2015-16”. La “garanzia giovani” è l’impegno ad offrire ad ogni giovane, entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla disoccupazione, una formazione, un apprendistato o, nel migliore dei casi, un lavoro. David Cameron, che ha “vinto l’ultimo tentativo di ridurre il rebate”, portando a casa la conferma dello chèque di restituzione di parte del contributo britannico ottenuto da Margaret Thatcher, ha riassunto con cinismo il grande risultato del vertice: “non risolverete la disoccupazione giovanile non facendo altro che spendere dei soldi”.

Tanto più che c’è stata una doccia fredda sulle illusioni di una partecipazione più attiva della Bei al finanziamento dei programmi per i giovani e a favore della piccola e media impresa, soffocata un po’ dappertutto dalla restrizione del credito bancario. L’aumento della capacità di investimento della Bei è stato ridotto. Con l’aumento di capitale di 10 miliardi di euro deciso qualche mese fa, c’era la speranza di una moltiplicazione dei pani e dei pesci fino a 50-60 miliardi. Ma Germania, Olanda, Finlandia e Svezia, preoccupate dai rischi di perdita del rating AAA della Bei, hanno frenato e il moltiplicatore è stato rivisto al ribasso per ragioni di prudenza, sconfiggendo la posizione di Francia e Italia, che speravano di imporre il concetto di “rischio condiviso”.

Un’altra difficoltà è emersa sull’Unione bancaria. C’è stato l’accordo sui “fallimenti ordinati” delle banche, con l’addebito agli azionisti e ai grandi correntisti, prima che intervenga il Mes, il fondo di soccorso. L’accordo sui “fallimenti ordinati”, che estende a tutta la zona euro il tanto criticato “modello Cipro”, doveva aprire la strada all’Unione bancaria, che Hollande spera ancora di vedere “a metà 2014”. Ma Angela Merkel ha ribadito ieri che non ci sarà Unione bancaria nella zona euro “senza modifiche dei trattati”, vale a dire tempi biblici. Lo aveva già detto il ministro tedesco della finanze, Wolfgang Schäuble, che aveva proposto, in sostituzione, una “soluzione transitoria”, cioè praticamente lo statu quo, per evitare una “socializzazione” delle perdite. Berlino esclude che il Mes possa intervenire sui “debiti ereditati” dal passato. Poi vuole mantenere la rete di supervisioni nazionali, evitando che sia la Bce ad accentrare i controlli. La Germania protegge cosi’ le sue banche, che sono in difficoltà, dalla Commerzbank, controllata al 25% dallo stato, alle Landesbanken dai conti opachi, che vuole sottrarre agli occhi della Bce.