All’una di un sabato non qualunque, il sole che «ricorda quello del Circo Massimo» (Sergio Cofferati), quando le agenzie ormai ammettono il milione di presenze, il miracolo è fatto, la sinistra si è ripresa piazza San Giovanni, e ormai le foto che arrivano via twitter dalla Leopolda fanno sorridere («Tavolo 51 affollatissimo», e sarà, ma vuoi mettere), Stefano Fassina finalmente si rilassa: «La minoranza Pd oggi sta bene, anzi è caricata dalla straordinaria presenza positiva che viene dal numero enorme di persone in piazza».

Sì, ma ora che succede? Perché la manifestazione Cgil, con i suoi operai, i suoi licenziati, i suoi esodati, i suoi «pensionati per il lavoro – largo ai giovani», insomma la sua fiumana umana dice che la sinistra c’è: è la rappresentanza politica che scarseggia. La pattuglia dei parlamentari Pd contrari alle politiche economiche del governo Renzi porteranno fino in fondo la loro battaglia contro il jobs act o voteranno di nuovo sì stilando poi un tonitruante documento di critica? E le sinistre-sinistre sparse riusciranno a trovare una strada comune (ieri la Lista Tsipras marciava da una parte, Sel dall’altra) avvicinando la «nuova coalizione dei diritti e del lavoro» (copyright Nichi Vendola) al «nuovo soggetto politico della sinistra e dei democratici italiani» (L’Altra Europa), magari facendo fronte con il dissenso piddino per portare a casa qualche risultato, oggi che l’ascesa di Matteo Renzi sembra irresistibile? «La disciplina di partito è saltata ad aprile 2013, quando oggi chi la invoca, votò in modo difforme dalla maggioranza sull’elezione del presidente della Repubblica», continua Fassina, «se oggi il presidente del consiglio è sulla piattaforma di Sacconi vuol dire che fa una scelta politica che entra in contraddizione con la nostra», insomma conclude, «fiducia o non fiducia, se il jobs act resta nella versione uscita dal senato non la voto».

«Gianni, guanta duro»

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«Gianni, guanta duro». I primi a riconoscere Gianni Cuperlo, alle 9 di mattina in una piazza della Repubblica che già esonda di uomini e bandiere, sono i ’suoi’ triestini. Il compagno della Ferriera si avvicina, «gli operai hanno un senso di abbandono». Con lui c’è Barbara Pollastrini (dalemiana) e Alfredo D’Attorre (riformista). Fassina è a pochi passi, stretto da un fronte umano che lo interroga, lo intervista, chiede selfie. Gli arranca dietro Monica Gregori, la deputata Pd licenziata dalla Annali di Cineto Romano: stampella e gamba steccata, «ma per niente al mondo sarei rimasta a casa». Alla partenza del corteo, sotto lo striscione dell’Unità, ci sono anche Rosy Bindi e Pippo Civati. In giro, nella calca, Cesare Damiano, Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani.

Dei temuti fischi alla pattuglia Pd ne arrivano pochi. La Cgil ha messo un discreto servizio d’ordine a gironzolargli intorno, non si sa mai. Alla fine non serve. Alla Stazione Termini un gruppo della Fiom di Pomigliano d’Arco grida: «A casa, a casa». Luigi, della Avio, fa un cazziatone a Fassina, in lingua. Poi traduce per i cronisti: «Gli ho detto: Merola è morto, basta sceneggiate». Più avanti la scena si ripete in bergamasco, stavolta sono tessili: «Fuori il Pd dal corteo». Invece Cristina e Edda, mamma e figlia fiommine di Pistoia, gli stringono la mano. Poi ai loro: «E miha si può sputare sul viso a tutti».

«Fiducia o non fiducia»

Ma i deputati Pd debbono sgolarsi per rispondere alla domanda che tutti, proprio tutti, rivolgono: «sul jobs act andrete fino in fondo?». Non ci crede più nessuno. Cuperlo: «Quel testo così com’è non si può votare. La più grande forza della sinistra non può essere ostile a una piazza che chiede diritti, dignità e investimenti pubblici». Pollastrini: «Un Pd che non ascolti questa piazza semplicemente non è». Sfila uno striscione che quasi quasi sembra del Pd. Ma da vicino si legge meglio: «PDuisti». I «Renzi vaffa» volano a ogni passo. D’Attorre: «I toni sono forti, ma anche Renzi ci ha messo del suo. Qui c’è una parte imprescindibile della sinistra, il Pd senza queste persone, senza questa piazza, non è più il Pd. Questa è una manifestazione contro alcuni errori che Renzi sta facendo. Questa piazza può riportare il Pd sulla retta via».

La sinistra che non c’è

Fischi pochi, ma battute tante. E battutacce. «Gianni, ci sei?» «Ci sono». «E allora ridacci il Pci». «Questo mi viene difficile». «Lasciatelo» sottinteso Renzi. Ancora Cuperlo: «Extra ecclesiam nulla salus». Tradotto dal latinorum: dal Pd non si esce. Il problema per D’Attorre è persino più profondo: «Io vorrei che Renzi non fosse l’ultimo segretario del Pd». In via Tasso incrociano Vendola, accompagnato da Franco Giordano, Arturo Scotto, Nicola Fratoianni, Massimiliano Smeriglio. Abbracci. Il presidente della Puglia: «La domanda enorme che arriva oggi ha bisogno di essere rappresentata politicamente. Alla politica che è qui chiedo coerenza nei comportamenti». Civati: «Ora spero che le varie anime della minoranza dem trovino una posizione comune in parlamento» perché «non posso sempre essere io ad essere preso per matto».

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La riposta di Renzi arriva in serata: «Il Pd ha preso il 40 per cento perché le persone che andavano in tv a far polemica sono state messe ai lati». Ai lati: è il posto che Renzi ha riservato a chi non la pensa come lui. Da un lato, un marciapiede, un uomo grida: «Gianni, sveglia, siamo gli ultimi mohicani». Poi vede Fassina lo abbraccia e scoppia a piangere. Anche l’abbracciato non regge l’emozione. Antonio Iannacchero, si presenta, la tessera del Pd non l’ha voluta rinnovare, ora è iscritto a Sel.
Perché con la mutazione genetica del Pd, a sinistra potrebbe succedere qualcosa. Potrebbe. «C’è bisogno di una sinistra», spiega Paolo Ferrero, Prc, in piazza con L’Altra Europa. «La Lista Tsipras è un punto di unità importante: partiamo da lì, anche insieme ai compagni e alle compagne del Pd interessati a un percorso di questo tipo». In piazza ci sono anche Marco Ferrando (Pcl) e Cesare Procaccini (Pdci) e tutti i mille rivoli rossi. In tanti chiedono «un passo avanti» a Maurizio Landini, leader della Fiom. Che però giura di voler finire il suo mandato con le tute blu. E tuttavia: la fine del suo mandato coincide con la scadenza naturale del governo Renzi.