Il ministro Speranza in una recente audizione alla commissione parlamentare per le questioni regionali, ha indicato i “paletti” che intende mettere come sanità al regionalismo differenziato. Troppo pochi e poco significativi per respingere una pericolosa contro riforma di sistema. Sappiano che il ministro Speranza ha l’Emilia Romagna sul collo, e colpisce che i paletti che non ha messo favoriscono di fatto la pre-intesa fatta a suo tempo tra questa regione e il governo Gentiloni.

Non mi piacerebbe un ministro che si definisce di sinistra ma finge di difendere il Ssn e meno che mai mi piacerebbe che un ministro per giunta del sud si appiattisca sugli interessi in particolare di una regione a scapito di altre, cioè a scapito del suo ruolo nazionale.

La natura pubblica e universale della sanità, rende questo importante settore sociale indevolvibile, anche perché, come ammette lo stesso ministro nella sua relazione, i poteri già devoluti alle regioni non sono pochi e meno che mai marginali e di diseguaglianze quindi di ingiustizie e discriminazioni, ne abbiamo fin troppe per permetterci il lusso di una ulteriore disgregazione del sistema nazionale.

Ma dichiarare indevolvibile la sanità non può essere un mero atto apologetico, perché essa di casini ne ha tanti, gli errori fatti l’hanno molto penalizzata, per cui serve un pensiero riformatore non contro riformatore, come quello indicato dall’Emilia Romagna e dalle sue consorelle. Ma che, purtroppo, il ministro Speranza non ha e nessuno gli suggerisce.

Se la sinistra da anni ha riaperto alle mutue è solo perché non è stata in grado di definire da sinistra un’altra idea di sostenibilità, un’altra idea di sanità e un’idea di tutela diversa da quella mutualistica. Oggi l’equivoco si protrae e l’empasse in cui ci troviamo è così grande che con il regionalismo differenziato si tenta di spostare l’orologio del tempo a prima dell’istituzione del servizio sanitario nazionale.

Al ministro Speranza andrebbero suggeriti ben altri paletti, quelli davvero indispensabili. Il primo no riguarda l’autarchia: nessuna regione può autofinanziare la propria sanità con il proprio Pil, nessuna regione può svincolarsi in ragione della propria autarchia economica dal sistema nazionale, ogni regione concorre per quota parte al finanziamento del sistema. Vale il criterio di giustizia come equità di Rawls: solo le politiche che avvantaggiano i più deboli possono definirsi eque.

Il secondo no riguarda la definizione dei fabbisogni standard in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale. Questo fabbisogno non può che essere di salute, quindi dedotto da tutti i determinanti che in un territorio negano la salute. Il fabbisogno di salute è il diritto descritto nell’art. 32 della Costituzione quindi non può dipendere dal reddito prodotto e meno che mai solo dalla popolazione residente.

Sarebbe bene che il ministro Speranza si decidesse a tirare fuori una proposta per ridefinire la quota capitaria pesata, cioè quel criterio iniquo pensato a bella posta per dare meno soldi al sud e più soldi al nord.
Il terzo no riguarda le mutue, tema particolarmente caro proprio all’Emilia Romagna che da anni punta a risolvere i propri problemi di insufficienza finanziaria con i fondi integrativi. Il pacchetto di tutele che lo Stato deve garantire ai cittadini è una questione pubblica cioè di universalità e in nessun modo le tutele di diritto anche solo per quota parte possono dipendere da contratti privati. Ammettere le mutue come ci insegna la storia significa ammettere radicali diseguaglianze di diritto.

Il quarto no riguarda la libertà delle regioni di mettere le mani sulle competenze professionali, sulla definizione delle professioni, sui sistemi formativi. Anche questo uno dei sogni dell’Emilia Romagna teorica della task shifting, e delle competenze avanzate. Il malato ha diritto ad essere curato ad ogni latitudine dal meglio professionale che c’è a disposizione. Ogni professione deve fare il suo mestiere al meglio. Le regioni devono rispettare le norme primarie che a livello nazionale definiscono le professioni. Attendiamo riscontri.