Sarà anche cambiato nella forma, ma nella sostanza il Recovery plan di Draghi è in gran parte uguale a quello di Conte. La versione definitiva consegnata alle camere del Piano nazionale di ripresa e resilienza consta ora di 273 pagine. Le due trattative portate a termine in parallelo con la commissione europea da una parte e con i partiti della maggioranza dall’altra hanno portato aggiustamenti limitati, seppur considerevoli.
Analizzando la suddivisione delle risorse dei 191,5 miliardi – di cui 68,9 sono sovvenzioni; 53,5 sono prestiti per nuovi progetti e 69,1 sono prestiti per progetti già esistenti – si notano pochi spostamenti rispetto al piano del governo giallo-rosa precedente: il testo approvato dal consiglio dei ministri del 12 gennaio (che portò alla rottura con i renziani) teneva ancora conto della ripartizione iniziale delle risorse Ue – nel frattempo a marzo rivista rispetto al Pil 2019 – con 210,91 miliardi, quasi miliardi in più delle attuali a disposizione di Draghi.
Le sei missioni sono rimaste intatte così come l’incidenza di spesa sul totale: 40,73 miliardi per la prima missione sulla Digitalizzazione (erano 45,5 nel piano Conte); 59,33 per la Transizione ecologica (con Conte erano 67,49 miliardi); 25,13 miliardi per la terza sulle Infrastrutture (con Conte erano 31,98 miliardi); per Istruzione e ricerca 30,88 miliardi (con Conte erano meno: 26,66 miliardi); per Inclusione e coesione 19,81 miliardi (erano 21,28 miliardi con Conte) e infine 15,63 miliardi per la Salute (nel piano Conte erano 18,01 miliardi).
I conti sono complicati dall’aggiunta dei 30,64 miliardi di fondo complementare nostrano – la vera novità introdotta da Draghi – e dai 13 miliardi del fondo React Ue, di cui più di metà- 7,25 miliardi – va a rimpinguare le politiche per il lavoro contenute nella Missione 5 denominata Inclusione e coesione.
Usciti indenni dai calcoli, l’analisi dei progetti è nel piano Draghi molto più complessa e dettagliata.
La richiesta della commissione Ue di avere cronoprogrammmi precisi è stata soddisfatta assieme a quella – richiesta in primis dal Pd – di una analisi di ogni missione rispetto all’impatto su «divari territoriali, di genere e generazionali», dando dunque il «focus» promesso su Sud, donne e giovani.
Nel merito rimangono comunque tutte le ambiguità del piano, a partire dalla «sottomissione» a cui vanno più risorse: i ben 23,78 miliardi per «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile». Le associazioni ambientaliste hanno da subito contestato l’idea di utilizzare le risorse europee per favorire i piani dell’Eni per l’uso del cosiddetto «idrogeno blu», prodotto dal gas naturale, con cattura e stoccaggio del carbonio, a sfavore della ricerca per l’«idrogeno verde» – prodotto con l’elettrolisi da fonti pulite e rinnovabili. Sarà il ministro Cingolani – voluto fortemente da Grillo ma molto più liberista che ambientalista – a gestire le risorse sebbene la missione Transizione ecologica abbia molte competenze anche nel mistero guidato e rinominato da Enrico Giovannini sulle mobilità sostenibili.
Le pressioni degli ambientalisti in verità qualche risultato lo hanno portato. Ad esempio l’esplicitazione degli «impianti off-shore», le installazioni in mezzo al mare per sfruttare energia eolica e moto ondoso da tempo richieste per esempio a Civitavecchia per sostituire le centrali a carbone di Enel e Tirreno Power che continuano ad inquinare.
Resta comunque il fatto che nella versione finale per le energie rinnovabili ci sono 2,78 miliardi in meno rispetto all’ultima bozza di venerdì.
La grande novità dell’ultima versione del Pnrr riguarda l’aggiunta della riforma fiscale che viene definita tra «le riforme di accompagnamento al piano». Dopo le interlocuzioni con Bruxelles, Draghi e Franco si sono convinti a mettere nero su bianco l’impegno: «Il governo presenterà al parlamento, entro il 31 luglio 2021, una legge di delega da attuarsi per il tramite di uno o più decreti legislativi delegati».
La riforma dovrà centrale gli obiettivi chiesti dall’Europa: ridurre il peso sui redditi da lavoro e contrastare l’evasione. Tuttavia nel testo del Recovery Plan un «impegno» è preso solo per «un’ulteriore riduzione del cuneo fiscale sul lavoro» e non si arriva a un impegno all’alleggerimento delle aliquote dell’Irpef in senso specifico. Il governo dunque lascerà spazio al parlamento e soprattutto alla commissione di esperti, il compito di individuare modi e tempi di un intervento sull’Irpef, «preservando» la «progressività» del tributo, cioè la struttura a più aliquote e quindi escludendo la flat tax salviniana.
In più si specifica di una riforma dell’Irpef «possibile» con alleggerimento della pressione fiscale «graduale» solo se «i conti pubblici» lo consentono anche in virtù di un efficientamento della lotta all’evasione fiscale con l’uso dell’intelligenza artificiale.