Per la prima volta nella storia della Corea del Sud, la rappresentante della più alta carica della nazione è stata destituita a seguito di una procedura di impeachment.

Ieri a Seul la Corte costituzionale coreana ha provocato la probabile fine della carriera politica di Park Geun-hye, prima donna presidente di un paese a tradizione confuciana e maschilista.

Park è stata giudicata al termine di quello che viene ritenuto come il più grande scandalo politico della storia del paese. In precedenza il parlamento l’aveva accusata di estorsione, corruzione, abuso di ufficio e rivelazione di segreti di stato.

A seguito della sentenza all’unanimità della Corte, a Seul si sono verificati incidenti tra polizia e sostenitori della presidente. Oltre ai feriti, anche due morti, mentre la politica nazionale ha cercato di rassicurare popolazione e alleati, nell’attesa dell’elezione del nuovo presidente da effettuare entro due mesi.

Alcuni giorni fa Washington, nonostante l’assenza di potere della Casa blu coreana, aveva dispiegato il sistema di difesa missilistico Thaad, provocando la furiosa reazione della Cina.

Lo scandalo e la destituzione di Park è avvenuto dunque in una situazione regionale compromessa dai recenti test missilistici della Corea del Nord e dall’arrivo alla presidenza Usa di Trump.

E nello scandalo politico si nascondono le pieghe di quello economico, vista la presenza all’interno della storia della Samsung, uno dei grandi chaebol, i complessi industriali coreani, da tempo nel mirino della popolazione.

Park aveva vinto le elezioni conquistando la presidenza nel 2013 promettendo proprio di regolamentare i gruppi industriali nazionali, la cui gestione avviene per via ereditaria, come fosse una monarchia assoluta, e di volta in volta accusati di evasione e corruzione.

Insieme a Park «nello scandalo del secolo» – secondo la stampa di Seul – ci sarebbe infatti anche Lee Jae-yong, 48 anni e a capo della Samsung da ottobre, dopo la morte del padre, Lee Kun-hee.

La vicenda che ha portato all’impeachment e alla caduta di Park è da romanzo: Park è nata nel 1952 ed è la figlia dell’ex presidente coreano, un dittatore in grado di governare con pugno di ferro il paese portandolo a uno sviluppo economico che ne avrebbe fatto in futuro una «tigre asiatica».

Park, a causa della morte della madre, si ritrova catapultata sulla scena politica fin da giovanissima. La madre di Park muore nel 1974, in un attentato dove doveva morire il padre: cosa che accadrà cinque anni dopo, nel 1979.

Tra i personaggi che affollavano la vita della famiglia c’era anche Choi Tae-min, un discusso leader religioso che aveva creato una propria organizzazione, «La Chiesa della vita eterna». Non deve sorprendere: in Corea è sempre stata molto forte l’influenza di santoni e «sciamani».

Solo che Choi avrebbe finito per abusare oltre ogni misura dell’ascendente su Park, traumatizzata dalla madre assassinata, dicendole che la donna «gli era apparsa in sogno». Park strinse un rapporto particolare soprattutto con la figlia di Choi, Choi Soon-sil la nuova «Rasputin di Seul».

Nonostante una campagna elettorale molto determinata, tanto da valerle il nomignolo di «Lady di ferro», Park aveva vinto le elezioni promettendo unità ed equità sociale e di contrastare i chaebol. Secondo quanto ricostruito dall’indagine, fin dall’insediamento il potere di Choi sarebbe stato eccessivo: Choi avrebbe avuto accesso a documenti di stato e avrebbe sostanzialmente operato come una sorta di «presidente ombra», finendo per scrivere perfino i discorsi più importanti che la presidente Park ha effettuato durante il mandato.

Park stessa ha ammesso queste circostanze. Choi avrebbe portato Park, inoltre, a chiedere e a costringere i chaebol che doveva osteggiare (Samsung in testa) a effettuare donazioni a favore di fondazioni della sciamana per 70 milioni di dollari.

Park ha negato ogni ruolo in quest’ultima vicenda, ma la sentenza della Corte costituzionale lascia poco spazio ai dubbio: «Gli effetti negativi delle azioni presidenziali e le loro ripercussioni sono gravi, e i benefici della difesa della Costituzione con la sua rimozione dalla carica sono enormemente ampi».

Sentenza scandita da Lee Jung-mi, presidente della Corte e immortalata all’ingresso della sede con ancora i bigodini rosa tra i capelli. La foto è diventata il simbolo della decisione della Corte e ha provocato ondate di ammirazione in Corea, per la «dedizione completa» al lavoro.

Ora elezioni, mentre resta da gestire una complessa situazione internazionale. Pechino ieri ha fatto sapere che «la destituzione della presidente della Corea del Sud non cambia l’atteggiamento positivo della Cina nei confronti delle relazioni con Seoul», ma Pechino chiede che il dispiegamento del sistema antimissile Thaad venga fermato.