Mentre è in corso la discussione in Parlamento sul PNRR arriva, sia pure non in modo ufficiale ma ufficioso ( ma questo tipo di voci sono sempre, come si sa, le più pericolose ) la notizia che verrebbe varato dal governo, appena approvato il PNRR, un nuovo parallelo strumento di controllo, diverso da quello già esistente, sull’attuazione del piano. È lecito domandarsi il perché, ed è doveroso per la comunità scientifica suscitare l’allarme.

L’ATTUALE commissione VIA-VAS (Valutazione Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica del Ministero della Transizione Ecologica e solidale; MiTE) è infatti uno degli organismi della nostra Pubblica Amministrazione di maggior prestigio e qualità. Svolge un ruolo cruciale per il nostro Paese. Valuta se ogni progetto, dalle infrastrutture pubbliche come autostrade o depositi di scorie nucleari, alle industrie petrolifere, dall’eolico ai porti, è stato fatto rispettando l’ambiente.

Ha in mano decisioni cruciali e difficili come quelle relative all’Ilva di Taranto o del Porto di Venezia. È composta da 40 membri, nominati per la prima volta a seguito di selezione pubblica e diventata operativa nel 2020, dopo uno screening di oltre mille curricula. I commissari, tutti esperti con competenze molto diversificate, devono valutare se i progetti sono realizzabili, vantaggiosi per la comunità, se gli impatti sono mitigabili o compensabili, insomma se sono in grado di garantire una crescita sostenibile del Paese. Deve anche verificare che i progetti, una volta approvati, siano realizzati così come previsto dal progetto, e per questo ne controlla in sede esecutiva la corretta attuazione.

CONOSCO BENE il carico di lavoro e la responsabilità dei membri della commissione, avendone fatto io stesso parte molti anni fa. Si deve conciliare la rapidità delle decisioni con la qualità delle scelte. Il carico di lavoro è enorme e posso assicurare che gli oltre 600 pareri varati dalla Commissione attuale negli ultimi 11 mesi sono da record dei primati. Ora, io come tanti colleghi, siamo fortemente preoccupati, perché da ambienti di Palazzo Chigi arriva la voce che verrebbe varato un Decreto Legge che prevede di aggiungere all’attuale Commissione Via-Vas una nuova e autonoma Commissione Via, che si occuperebbe solo del Recovery plan.

Credo si tratti di un grave e pericoloso errore. In primo luogo, perché sarebbe enorme il rischio di difformità di valutazione a parità di impianto o infrastruttura da valutare. Immaginiamo un impianto eolico non approvato dalla prima Commissione Via e uno analogo, magari nella stessa area, approvato dalla seconda Commissione Via. Sarebbero evidenti le conseguenze, con impugnative a raffica di tutte le decisioni. Ricordiamoci che le tempistiche che tanto ci preoccupano per il successo del Recovery plan sono spesso a rischio proprio per i ricorsi e i controricorsi che dilatano i tempi di quasi tutte le opere pubbliche.

È indubbio che il Recovery plan farà pesare un ulteriore carico di lavoro sul Ministero della Transizione ecologica, le cui limitate dotazioni in termini di risorse umane non bastano già oggi a far fronte alla gigantesca mole di lavoro che oggi si è prodotto. Ma cosa accadrebbe in caso di raddoppio delle Commissioni? Ora la Commissione lavora con un unico corpo diviso in due sottocommissioni, una per la VIA e una per la VAS. Sarebbe più semplice, logico, rapido, coerente e conveniente incrementare l’attuale Commissione con una terza sottocommissione VIA incaricata di seguire solo il Recovery, e operare con procedura ad hoc ma anche con la possibilità di avvalersi delle competenze ancor più ampie della Commissione già esistente. Quel che servirebbe, casomai, non è dunque una nuova commissione, ma due interventi chiave.

IL PRIMO È aumentare il numero dei componenti della Commissione Via già esistente per creare la “terza gamba” dedicata al Recovery utilizzando le centinaia di validissime domande presentate l’anno scorso per la Commissione Via e non selezionate solo a causa del numero limitato di commissari previsti dalla normativa vigente. La seconda è procedere con urgenza (magari con contratti a tempo determinato che sono più rapidi da finalizzare) a un potenziamento del Ministero della transizione ecologica mettendo a disposizione nuovo personale altamente qualificato.

BISOGNA FARE presto, certamente, ma bisogna fare anche bene e dobbiamo scongiurare il rischio che dietro la fretta oggettiva che ci è imposta dal Recovery Plan si nasconda la pressione dei partiti e dei tanti gruppi interessati all’attuazione di questo o quel progetto, per nominare, in nome dell’urgenza, commissari ad intuitu personae, o ad personam, con ciò che ne potrebbe conseguire in termini di depotenziamento di un rigoroso filtro della valutazione di impatto ambientale. Troppe volte è accaduto qualcosa di simile, purtroppo. Non solo: proprio nel momento in cui si decide una riforma della Pubblica Amministrazione non è un buon primo passo cominciare a creare l’ennesimo organismo inutile, che suscita immediatamente un più che legittimo sospetto: perché?

Le semplificazioni sono necessarie, ma guai se diventano un “liberi tutti” da controlli seri. La velocità è utile, ma a patto di non correre rischi di incompetenza, o peggio. Il PNRR presenta oltretutto così tante debolezze che il rigore e la piena fiducia in chi deve controllarne l’attuazione è più che mai indispensabile. Chiediamo a tutti,e in primis alla stampa democratica, di stare all’erta.

* Biologo, dirigente di ricerca stazione A. Dohrn (dirett. sede Roma e Calabria); docente di Sostenibilità ambientale Univ. Scienze gastronomiche Pollenzo; CNSA/comm. Scient. per l’Antartide; ; pres. cons. scientifico Coldiretti; ecc).