Il destino di Plutone è sempre stato segnato dalla popolarità. A luglio di quest’anno è stato raggiunto per la prima volta dalla sonda della Nasa New Horizon. Ma fin dalla sua scoperta nel 1930 questo remoto corpo celeste ha occupato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Dopo averne dedotto l’esistenza per alcune irregolarità nell’orbita di Nettuno, l’astronomo Percival Lowell dedicò tutta la sua vita alla caccia del misterioso nono pianeta, che lui chiamò pianeta X. Senza successo. La caccia venne ripresa solo 13 anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1916, e il giovane Clyde Tombaugh, dopo aver analizzato decine e decine di lastre fotografiche, riuscì finalmente a identificare lo sfuggente pianeta. Finito sui giornali di mezzo mondo, venne battezzato con il nome del dio delle tenebre (le cui due prime lettere erano anche le iniziali del suo primo cacciatore nonché fondatore del Lowell Observatory dove lavorava Tombaugh). Sembra che addirittura Disney ne venne ispirato nell’anno in cui inventò il famoso amico a quattro zampe di Topolino.

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Troppo lontano perché le sue caratteristiche potessero essere osservate anche con i migliori telescopi – telescopio spaziale Hubble incluso – Plutone ritornò ad affacciarsi sui media per una controversia iniziata negli anni Novanta e finita nel 2006 con la sua declassificazione: da pianeta a pianeta nano. Dopo la scoperta infatti di altri oggetti simili e persino più massicci dell’ex nono pianeta alle estremità del nostro sistema solare, gli astronomi decisero di creare una nuova classe di oggetti celesti, di cui Plutone fosse il rappresentante più famoso. La decisione, ratificata dall’Unione astronomica internazionale nel 2006, suscitò una levata di scudi tra gli astrofili di tutto il mondo e sui grandi media, affezionati a questo bizzarro «pianeta» – lontano 40 volte la distanza del Sole dalla Terra, che impiega 248 anni per girare attorno alla nostra stella con un’orbita particolarmente ellittica e inclinata rispetto al piano del sistema solare. Ma non ci fu niente da fare: Plutone ormai è solo un pianeta nano.

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Proprio quell’anno, e la coincidenza non è casuale, veniva lanciata la missione New Horizon, il cui responsabile principale, Alan Stern, fu uno degli oppositori più veementi all’interno della comunità astronomica al cambio di status di Plutone. La curiosità dei planetologi rispetto a quello che fino ad allora era un pianeta era enorme: si trattava dell’unico pianeta non ancora visitato da una sonda umana e il cui aspetto reale era pura speculazione. Per convincere l’ente spaziale statunitense a finanziare la missione ci vollero più di 20 anni. Grazie all’ostinazione di Stern, i fan di Plutone di tutto il mondo si sono potuti scatenare. E la verità è che, spin doctor astronomici a parte, ne hanno ben d’onde. Come illustrato dalle spettacolari immagini – pane per i denti degli astrofili più sfegatati – le caratteristiche del pianeta si sono rivelate più curiose di quanto gli stessi astronomi non si aspettassero. E questo nonostante New Horizon abbia inviato a terra finora solo un quinto dei dati.

E così quest’anno i terrestri hanno scoperto che il loro vicino più lontano (ci vogliono più di 5 ore e mezza perché le onde elettromagnetiche raggiungano la Terra da quella distanza) ha tramonti azzurri, grazie alla composizione della sua atmosfera – la cui presenza non era affatto scontata. Addirittura sembra che possa nevicare. Con una temperatura massima che sfiora i 220 gradi sotto zero, il pianeta, fotografato da una distanza di meno di 12mila km, mostra montagne che hanno fino a 4 km di ghiaccio (d’acqua) su uno strato di azoto solido. E una superficie molto contrastata su cui l’assenza di crateri dimostra che è o è stato attivo geologicamente: non tutti i pianeti possono vantare questo lusso tipicamente terrestre. Di fatto solo alcune lune dei pianeti più grandi mostrano un’attività geologica, che però si spiega con le enormi forze gravitazionali a cui sono sottoposte da parte dei pianeti giganti attorno a cui orbitano. Ma per Plutone, con un diametro di soli 2400 km e una superficie equivalente a quella della Russia, bisognerà trovare un’altra spiegazione. Anche le sue 5 lune – la più famosa delle quali, Caronte, fu scoperta nel 1978; le altre a partire dal 2005 – costituiscono un sistema molto bizzarro. Intanto, Plutone non ruota su se stesso, ma essendo inclinato di 120 gradi, praticamente «rotola»; in più, essendo Caronte molto grande – quasi la metà del pianeta – molti considerano il sistema come un doppio nanopianeta; Caronte e Plutone ruotano mostrandosi sempre la stessa faccia. Ma gli altri 4 satelliti mostrano un comportamento molto irregolare e ruotano su se stessi come trottole che si stanno per fermare (l’asse descrive un cono): una danza che non si vede attorno a nessun altro corpo del sistema solare.

Il piccolo Plutone è dunque a buon diritto una delle star del sistema solare, da cui gli scienziati – che hanno già iniziato a pubblicare i primi risultati su riviste scientifiche – si aspettano ancora di poter imparare molto. Ma il suo successo mediatico è anche legato a una precisa e consapevole scelta. Alan Stern, gran utilizzatore di Twitter, si è circondato da un team di artisti, scrittori e visionari per trovare il modo di entrare in sintonia con il grande pubblico. Una struttura a forma di cuore sulla superficie, il calcolatore della Nasa chiamato Pluto Time (che calcola a che ora dopo il tramonto di qualsiasi punto della terra corrisponde la luminosità massima sulla superficie del pianeta nano) hanno contribuito a rendere Plutone trending topic quest’anno. Ma diceva Foscolo, virtù non luce in disadorno ammanto. Le grandi virtù di questo straordinario corpo celeste non sarebbero nulla senza la competente squadra di comunicatori che ne sa raccontare l’eccezionalità.

Benvenuti al secolo in cui la scienza sta imparando a vendersi.