Per un caso bizzarro, due anni fa abbiamo convissuto per alcune settimane nello stesso ospedale. Valentino Parlato al quarto piano del Santa Lucia, io al terzo. Lui doveva curarsi i postumi di una operazione all’anca. Ci trovavamo a metà strada nell’atrio sulle nostre carrozzelle, o nella stanza dell’uno e dell’altro.

Quegli incontri alleviavano la noia del ricovero ospedaliero. Grazie al suo temperamento estremamente socievole, Valentino era subito entrato in confidenza con medici, infermieri, fisioterapisti. Abbiamo così ripreso a parlarci intimamente facendoci reciproche confidenze sulla vita, sulla malattia e ovviamente sulla politica e su come leggevamo il giornale da lontano.

Lui soffriva per il distacco, che aveva per altro deciso, dal luogo dove aveva passato più di quarant’anni. Ogni telefonata dal giornale gli faceva immenso piacere, gli risvegliava la voglia del ritorno.

Eravamo tornati a frequentarci e a parlarci confidenzialmente già nelle serate passate nella casa di Lucio Magri a piazza del Grillo nel vano tentativo di convincere il nostro amico a non lasciarci con un gesto disperato seppure consapevole. Si erano così sciolte le nostre reciproche diffidenze.

Gli avevo in passato rimproverato molte scelte nella gestione del giornale che avevano costretto molti ad abbandonare via Tomacelli. Ma era impossibile avercela con Valentino più di tanto: troppo simpatico, troppo spiazzante, troppo irregolare, troppo intelligente, troppo calato nel suo ruolo di collante e garante del manifesto. Ci eravamo perciò perdonati le reciproche ruvidità, di cui lui si ricordava vagamente o faceva finta di aver rimosso.

Sono felice di questa amicizia ritrovata con lui e l’inseparabile moglie Delfina che è continuata fino alla fine. A Valentino mi univano affetto, stima e ammirazione per quel suo carattere solare, indisciplinato, non convenzionale. Ricordo che andai a trovarlo per la prima volta nel 1973 (allora abitava in via Urbana), chiedendogli l’introduzione per un libro che stavo curando. Lui mi disse cortesemente di sì, ma non la scrisse mai, come spesso gli capitava un po’ per pigrizia e un po’ per i troppi impegni.

Con Valentino non potevi serbare rancore, era impossibile. Lui ti smontava con gentilezze, sorrisi e battute.

C’è qualcosa di duraturo che unisce il gruppo storico e meno storico del manifesto, al di là dei percorsi professionali e personali di ognuno.

È il rapporto solidale tra chi considera la politica una scelta e il giornalismo un modo particolare per praticarla usando un quotidiano di carta come un periscopio per leggere i fatti del mondo e provare a dare risposte nuove e di sinistra. Valentino ci ha insegnato a essere così, a pensare a una comunità senza interessi personali. Lui si fregiava tra l’altro del titolo di «pluricandidato alle elezioni ma mai eletto».

Quando abbiamo fatto una festa per la mia uscita dall’ospedale con sottofondo di musica cubana (avevamo fatto insieme un bel viaggio nell’isola), Valentino mi ha regalato due volumoni della Storia d’Italia di Francesco Guicciardini. Si era ricordato che sulle carrozzelle avevamo discusso delle anomalie del “caso italiano” a partire dagli scritti di Giacomo Leopardi. I due volumi li custodisco nella mia biblioteca e ora mi toccherà pure leggerli. Ciao Vale.