«Sono bastate le pluricandidature di otto donne per escludere 39 candidate e favorire l’elezione di altrettanti uomini». La denuncia nasce, spiegano, da uno scambio in chat fra donne del Pd di tutta Italia. E diventa un appello. A scriverlo è Francesca Puglisi, responsabile formazione ai tempi di Bersani, oggi fra le tante non elette del Pd. A firmarlo, a valanga, quasi 500 donne (e anche qualche raro uomo), fra elette e rimaste a piedi ma anche amministratrici e dirigenti.

Il bilancio della presenza femminile nei gruppi del Pd è amarissimo, attaccano. Sono state fregate, ammettono: «Nella scorsa legislatura, anche grazie alle primarie con la doppia preferenza di genere, eravamo il gruppo più rosa del Parlamento. Abbagliate dal primo governo con il 50 e 50, ci siamo fidate. Abbiamo pensato: è fatta», scrivono. «Un errore politico fatale che non ripeteremo mai più», promettono.

E così alle varie linee di rottura che attraversano il Pd di queste ore si aggiunge quella di genere. Meglio tardi che mai. Anche se l’effetto devastante sulla presenza femminile in parlamento era noto. Non c’era bisogno di aspettare la prova del budino del Rosatellum. Comunque è andata malissimo: «Per la prima volta il Pd è sovrastato nella rappresentanza femminile parlamentare dal M5s e dalla destra». E non basta: nel frattempo «nel Pd un gruppo dirigente sempre più chiuso e muto si trincera in delegazioni e ‘trattative’ di soli uomini».

Sì, perché Puglisi dice che oltre al danno della scarsa presenza femminile, si è aggiunta la beffa dell’immagine della ’delegazia’ del Pd che sale al Colle: quattro maschi in fila, scelti dal Nazareno e dai parlamentari senza nessun complesso.«Lì c’è il segno della regressione del Pd e della crisi della nostra identità». E lì è scattata la molla dell’appello che diventerà un ordine del giorno all’assemblea del 21 aprile.

Nel gruppo dirigente l’accoglienza è fredda. Gli uomini sotto accusa, quelli che hanno fatto le liste e la ’delegazia’, prudentemente tacciono. Le rivendicazioni femminili o femministe sono un campo minato, meglio evitare scivoloni.

A cavarli dall’impaccio arriva un gruppo di donne, per lo più pasdaràn renziane (Fregolent, Bellanova, Di Salvo, Gribaudo, Paita, Rotta, Paris, Piazzoni, Piccoli Nardelli). «Stupiscono i toni dell’appello», replicano, ma ancora di più «il fatto che l’accusa alle liste elettorali arrivi anche da donne candidate proprio in quelle liste e che quelle liste hanno approvato, anche se poi non tutte sono state elette».

L’accusa è velenosa: «Più che un impegno per la parità di genere» l’appello sarebbe animato da «un risentimento per essere rimaste fuori un giro». Più sfumata la replica dell’orlandiana Barbara Pollastrini, ex ministra della parità: «Dal gruppo dirigente del partito vorrei sentire dire ‘scusateci’», ma «alcuni di noi non hanno approvato le liste.