Si è aperta sabato scorso Vie, una delle rassegne più importanti e innovative di teatro e danza, con molte presenze conosciute e qualcuna assolutamente sorprendente, sparse oltre che a Modena anche a Bologna,Carpi e Vignola. Il cartellone va avanti fino a domenica prossima, promettendo il nuovo spettacolo di Danio Manfredini, Luciano (sabato alla bolognese Arena del sole), il nuovo Giuramenti della Valdoca, e tra le curiosità Begalut del georgiano Tsuladze che proporrà al pubblico ritmi e assenza di parole da cinema muto. L’apertura ha riproposto, proprio dentro un progetto di rivisitazione del nostro ieri «di formazione», una coreografia di Julie Ann Anzilotti dedicata a Erodiade. Ma il tempo è passato molto in fretta, e non restituisce spesso le cose nella loro bellezza, al di là del ricordo.

Estremismo del trarre conseguenze invece domina Encore, chiusura di una trilogia in cui il rapporto sessual/esistenziale tra un uomo e una donna avanza a suon di coltelli branditi. Il greco Theodoros Terzopoulos è stato negli anni un maestro, oggi pare rimanere vittima lui delle forme, in una corsa al parossismo che può lasciar freddo lo spettatore. Che non si appassiona troppo neppure alle riflessioni di 120 minuti sul biblico Libro di Giobbe, incarnato oggi nei panni di un tennista battuto dal figlio. Pietro Babina ci lascia senza sorprese, avvolti da un testo verboso cui ha collaborato con Emanuele Aldovrandi.

Chi «sveglia», e dà voce, al teatro, è invece il Dead Centre di Dublino, capace di smontare e strizzare un testo incompiuto, Cekhov first Play. Ovvero quello che viene di solito chiamato Platonov, in cui pure appaiono già quelli che saranno i caratteri, i nodi e lo spirito di tutti i successivi capolavori cechoviani. È un testo raro sui palcoscenici: Michalkov ne trasse sullo schermo la sua Pianola meccanica, che poi affidò in scena a Mastroianni in fuga dalle molte donne che lo volevano. L’ungherese Tamas Ascher ne fece una bella versione crudamente realista, in cui il protagonista scappando in una foresta di lenzuola stese, spariva sotto il rombo e il fumo di un treno che invadevano anche la platea.

I due registi irlandesi Bush Moukarzel e Ben Kidd rovesciano la situazione, fingendo di voler aiutare il pubblico a districarsi tra la trama e i numerosi personaggi. Perché ogni spettatore sente lo spettacolo in cuffia, le battute dal vivo degli attori a cui però si intrecciano commenti, avvertimenti, «spiegazioni» (e anche qualche imprecazione) della regia. Tutto tradotto anche nei sottotitoli in italiano che campeggiano in alto. Ma al vecchio caro dottor Cechov, non sembrano nuocere certi particolari che la regia si lascia scappare in cuffia. In realtà si rivela un bel sistema strutturale di fare spettacolo totale, tanto che l’ignavo e accidioso protagonista può apparire alla fine come uno del pubblico. Ma la girandola di furberie e ipocrisie attorno a lui (compresa l’invadente regia nell’orecchio) ha divertito e coinvolto di sicuro lo spettatore e la sua intelligenza.