Ci è voluta una menzogna presidenziale ancora più macroscopica delle solite perché, dopo quattro anni di silenzio complice, Twitter intervenisse, sbugiardando con un’etichetta in blu «informatevi sui fatti!» l’ennesima esternazione di Donald Trump. L’improvvisa presa di coscienza della piattaforma di Jack Dorsey -pare non un episodio isolato, visto che il fact checking sta continuando ad ogg i- potrebbe essere arrivata troppo tardi.

COME NOTA Jason Zangerle, in un interessante articolo uscito sul «New York Times Magazine» di domenica, il Covid-19 (paradossalmente, visto che si tratta di un virus e quindi di una «storia» a sfondo scientifico) avrebbe dato la stura definitiva e irreversibile al maelstrom in cui il trumpismo ha precipitato la nozione di una narrativa comune, ancorata al concetto di plausibilità.
Tra adesso e le elezioni, «un buon numero di americani accetteranno o rifiuteranno una storia solo a seconda di chi la racconta», scrive Zangerle, anticipando l’entrata di un universo che va – se pensabile – persino oltre le fake news, ed è simbolicamente annunciato dall’arrivo del nuovo, surreale, spot elettorale American Comeback, in cui Trump salva due milioni di americani dallo sterminio del Covid-19, trionfando sui nemici (Nancy Pelosi, Cina e Chuck Schumer), acclamato da folle di cittadini con mascherina, e con l’appoggio dei governatori democratici di New York e California – mentre una formazione di aerei militari sfreccia avanti e indietro nel cielo blu. Vedere per credere -è disponibile online.

Come è disponibile quasi tutta l’ informazione e la disinformazione che circolano su Covid-19 e i suoi corollari, ancora più urgente e allo stesso tempo pericolosa, mentre il paese cerca di funzionare in gradi diversi di lockdown e siamo ancora più ancorati agli schermi che mai.

COSÌ può succedere che, mentre Hollywood si interroga sul futuro del cinema in sala e si chiede se bisogna cambiare le date degli Oscar 2021, in rete si fa strada un colossal di 26 minuti che è più gettonato di Steve Carell con la sua reunion di The Office o dell’annuncio di City of Lovers di Taylor Swift.
Plandemic è la creazione di un oscuro produttore di nome Mikki Wills, convinto – pare – che il virus sia frutto di un complotto delle elite che intendono trarre profitto dall’eventuale vaccino ideato per combatterlo. Nel video sono intervistati esperti già ampiamente screditati come la scienziata Judy Mikovits, che si definisce una vittima del complotto di sopra, e i cui studi contro il Covid sarebbero stati sabotati ingiustamente. Ma l’interesse dell’oggetto non sta tanto nei suo contenuti – un riciclaggio di affermazioni tendenziose e false sulla pandemia – quanto nella velocità e nella vastità del suo diffondersi, fino a diventare parte delle conversazione mainstream e quindi – nel clima culturale e politico di oggi, se non «vero» almeno bizzarramente rilevante.
Plandemic era stato postato dall’autore stesso, il 4 maggio scorso, su Facebook, YouTube e Vimeo.

COME PREVEDIBILE, in breve è diventato un piccolo cult condiviso sulle pagine Facebook di gruppi anti-vaccino e di sostenitori di varie teorie del complotto. E fin lì nessuna sorpresa. Entro una settimana, però, era stato visto da circa 8 milioni di persone, generando a sua volta -dalle pagine dei social in cui era stato originato – un’interminabile catena di post. Facendosi largo, con l’appoggio di un gruppo di credenti di QAnon (25.000 membri), di una ginecologa antivaccinista apparsa sul programma di Oprah Winfrey (con mezzo milioni di seguaci su Facebook), della pagina del gruppo Reopen Alabama, di un lottatore professionista di arti marziali (70mila followers) e di un’attivista antiObamacare recentemente sconfitta alle elezioni per il senato dell’Ohio (20.000 followers) entro metà maggio, Plandemic, solo su Facebook ha generato due milioni e mezzo di likes, commenti o condivisioni, contro i 618.000 della riunione del cast di The Office. Questo nonostante le teorie del fossero state analizzate e decostruite da un lungo reportage del sito di giornalismo investigativo «BuzzFeed». O forse, come direbbe Zengerle, proprio per quello.