Storie attraversate da una forte componente emotiva, quelle che caratterizzano il puzzle visivo del festival Planches Contact 2020 (fino al 3 gennaio 2021 a Deauville). L’accento è contagiosamente vitale. Almeno è questo l’orientamento dell’indagine condotta da molti fotografi, tra cui Lorenzo Castore, Mathias Depardon, Riverboom (P. Woods, G. Galimberti, E. Delille e C. Baechtold) – oltre che Martin Parr con il suo incomparabile humor in Nos voisins les Anglais (unica mostra già prodotta) – nel relazionarsi al paesaggio umano, urbano e naturale di Deauville. Un obiettivo che caratterizza Planches Contact («provini a contatto») fin dai suoi esordi, ma che in questa XI edizione, con la direzione artistica affidata per il secondo anno a Laura Serani, acquisisce una forza maggiore, considerando le difficoltà del momento.

Volontà, qualità e passione sono i meccanismi che hanno mosso una sfida che va ben oltre l’ordinario. Caratteristica del festival, organizzato dal Comune di Deauville con il Ministero della cultura francese, Direzione Regionale degli Affari Culturali, Regione Normandia e Dipartimento di Calvados è quella di indagare le diverse realtà del luogo annusandole, oltre che osservandole, nell’intersecarsi di realtà e immaginazione.

Per poterlo fare con la giusta consapevolezza gli autori internazionali (ai nomi già citati vanno aggiunti Todd Hido, Evangelia Kranioti, Philippe Chancel, Nikos Aliagas e i giovani Clara Chichin, Nadine Jestin, Hugo Weber e Manon Rénier) sono stati invitati a condurre una residenza durante la quale hanno prodotto il lavoro che entrerà nelle collezioni fotografiche della città di Deauville, la più importante in Normandia, che conta oltre 800 pezzi. Un fondo che dalla primavera 2021 avrà sede permanente nell’ex convento francescano di Les Franciscaines-Deauville, futuro hub multidisciplinare attualmente in corso di ristrutturazione.

Sfatare il mito di una città che è di per sé un’icona – basti pensare alle fotografie di Jacques-Henri Lartigue del periodo 1904-1939 pubblicate nel Carnets d’été à Trouville-Deauville o alle sequenze cinematografiche di Un homme et une femme di Claude Lelouche – località balneare d’élite nota anche per il casino, le corse ai cavalli e il festival del Cinema Americano, non è mai facile ma Planches Contact, proprio grazie alla produzione di lavori inediti si pone come realtà a sé, fuori dalle omologazioni. Quest’anno, in particolare, quella voglia di baci e abbracci che ci è negata a causa del virus è esternata attraverso le foto a colori stampate in grande formato e collocate su strutture di legno in giro per la città, dalla banchina della stazione ferroviaria alle vie della moda, tra le tipiche case normanne decorate e sulla spiaggia lunghissima dove d’inverno volteggiano gli aquiloni, mentre d’estate si popola di una variegata umanità.

Così la racconta Depardon in Being yourself is the best revolution (il titolo è la citazione del tatuaggio sulle spalle di una ragazza) nelle foto scattate la scorsa estate su questa stessa spiaggia. L’immagine del ragazzo che fuma il narghilè con il volto nascosto dalla nuvoletta bianca (come in un cartoon) e la ragazza che prende il sole con gli occhi chiusi, restituiscono l’idea romantica (e cromatica) del momento, con la mano di lei dalle unghie laccate poggiata su quella di lui. Una foto destinata a diventare documento per via della nuova legge francese che vieta di fumare in spiaggia.

La tenerezza attraversa anche il lavoro che Lorenzo Castore ha realizzato trascorrendo un paio di settimane insieme a due adolescenti – Théo & Salomé – alle prese con la magia del primo amore. Molte delle centinaia d’immagini del progetto, una sorta di diario in cui il fotografo ha assunto il ruolo di regista lasciando piena libertà ai due protagonisti che sono intervenuti anche con la scrittura, sono esposte anche in forma di collage fotografico nel Grand Bassin.

Momenti brevi, sussurrati, come nella serie introspettiva Flagrant délit d’émoi di Nadine Jestin (vincitrice del premio Tremplin Jeunes Talents) o nella rievocazione mitologica L’Origine di Letizia Le Fur nel padiglione della Fondation photo4food. Se, poi, lo sguardo di Todd Hido con quella sua vena pittorialista ha colto in Et puis, il y a eu les oiseaux il mistero che avvolge una Deauville bucolica, alternandola ai ritratti femminili nei raggi di luce crepuscolare, Evangelia Kranioti (la serie si chiama Magic Hour) è riuscita a catturare un silenzio analogo, esplorando i lati oscuri e meno accessibili dell’essere umano attraverso una voluta teatralità. La messinscena, in fondo, è meno artificiosa di certe realtà.