«Dopo il golpe blando in Brasile, potrebbe toccare a Maduro», dice al manifesto l’argentino Adolfo Perez Esquivel. L’ex premio Nobel per la pace, che ha sofferto il carcere e le torture durante l’ultima dittatura militare, ed è scampato per un pelo ai «voli della morte» è venuto in Italia per un ciclo di conferenze. L’ultima alla Fondazione Lelio Basso, dove lo abbiamo incontrato. Al tavolo, Gianni Tognoni, e Franco Ippolito, del Tribunale permanente dei popoli, che tante volte lo hanno accompagnato nelle missioni internazionali.

In Argentina, Macri sta banalizzando o contrastando il lavoro sulla memoria, che risposta sta dando il paese?
La memoria non va relegata al passato, perché illumina il lavoro sul presente. Così noi lavoriamo ogni anno con circa 14.000 giovani. Spieghiamo quel che è accaduto durante la dittatura ma anche quel che accade oggi nei luoghi in cui vivono. Sappiamo quel che è successo durante la dittatura, ma non quel che sta succedendo ancora. C’è una memoria istituzionale che non si è modificata: forze armate, poliziotti, guardie carcerarie continuano ad agire con la stessa mentalità. Le violazioni dei diritti umani non sono più una politica di stato, ma persistono: abbiamo registrato 6.835 casi di tortura. Molti bambini e bambine scompaiono: per il traffico di organi oppure per quello sessuale. Non abbiamo risorse per indagare più a fondo, perché il governo non aiuta le organizzazioni per i diritti umani. Macri privilegia gli interessi finanziari su quelli del popolo, in poco tempo si sono aggiunti altri 4 milioni di poveri, non c’è lavoro. Stiamo pagando interessi esorbitanti sul debito estero. Le organizzazioni sociali si stanno organizzando, c’è conflitto, ma per ora più che una soluzione, in comune abbiamo solo il problema. Il lavoro sulla memoria è fondamentale. C’è un proverbio che dice: quando non sai dove stai andando, torna indietro, per sapere da dove vieni.

Molti organismi internazionali hanno protestato per la detenzione della deputata indigena Milagro Sala. Qual è la situazione?
Sono andato di recente a visitarla in carcere insieme a due dirigenti sindacali. Milagro, insieme all’organizzazione Tupac Amaru ha impiegato i finanziamenti erogati da Cristina Kirchner per costruire una gran quantità di opere sociali. È una prigioniera politica detenuta senza processo. Il procuratore che l’accusa, Gerardo Morales, non ha voluto ascoltarci. Ho scritto a Macri chiedendogli che, per Natale e Capodanno liberi i prigionieri politici.

Per molti analisti, in America latina sarebbe in atto un altro Piano Condor, basato su forme di killeraggio di nuovo tipo. È d’accordo?
C’è da essere molto preoccupati. Per mantenere la propria influenza nel continente, gli Stati uniti adottano ora i golpe istituzionali, utilizzano la complicità di deputati, senatori, giudici, giornalisti. L’Honduras ha fatto da apripista. Dapprima è toccato al presidente Manuel Zelaya, poi a Fernando Lugo in Paraguay, poi ancora a Dilma Rousseff in Brasile. Sono andato in Brasile con Dilma e ho parlato per qualche minuto in Senato per denunciare quanto stava accadendo. È scoppiato un pandemonio, volevano far togliere dalle trascrizioni la parola golpe istituzionale: perché era così. L’enormità di quanto è accaduto è data dal fatto che, mentre Dilma non è corrotta, lo è la maggioranza di quelli che l’hanno giudicata. L’obiettivo del golpe in Brasile è stato quello di appropriarsi delle risorse, di applicare politiche neoliberiste e privatizzare le imprese pubbliche. Hanno provato a fare lo stesso in Bolivia contro Evo Morales e contro Rafael Correa in Ecuador. Ora cercano di farlo in Venezuela contro Nicolas Maduro. Vogliono ri-colonizzare il continente, sottomettere i movimenti popolari. E confondono le acque con parole come “populismo”, quando invece bisognerebbe parlare di partecipazione e sovranità popolare.

Che pensa del ruolo del Vaticano?
Il papa prova a dare un indirizzo, nell’Enciclica Laudato si’ o coi movimenti popolari, ma non sta a lui cambiare le cose, questo è compito del popolo organizzato. In Italia avete appena fatto un referendum… Nella democrazia rappresentativa, il popolo delega il potere a quelli che governano che per 4 anni possono fare quello che vogliono in base ai propri interessi e non a quelli di chi li ha eletti. Un paese è sovrano non perché così dice, ma per quello che fa realmente. Anche in Colombia si vota, si eleggono i parlamenti. Ma possiamo considerarla davvero una democrazia? Abbiamo constatato molte volte innumerevoli violazioni dei diritti umani. Grazie alla testimonianza di un ex dirigente di polizia, accompagnato dal gesuita Javier Giraldo, è andato in galera il fratello dell’ex presidente Alvaro Uribe, nella cui tenuta si svolgevano le riunioni di gruppi paramilitari. Nonostante l’approvazione del Congresso, la pace in Colombia non si farà per decreto, né si può pensare che coincida con l’assenza di conflitto. La più grande nemica della pace è la passività. Al contrario, in America latina, dal Venezuela alla Bolivia, si sono recuperate le risorse e il popolo decide sui beni comuni, partecipa e costruisce uguaglianza per tutte e tutti. È questo che si vuole azzerare in Bolivia, in Venezuela… Il papa ha cercato di gettare un ponte tra il governo venezuelano e l’opposizione. Ma l’opposizione rifiuta il dialogo, cerca lo scontro e la guerra civile. Dobbiamo essere molto preoccupati, fare in modo che ciò non avvenga.

Fidel Castro è morto, lei l’ha conosciuto, qual è il suo giudizio?
So che qui in Europa ne avete una visione distorta. Per me è stato un grande uomo politico che ha costruito il bene del suo popolo in condizioni difficilissime, sotto un terribile blocco economico che dura ancora. Ha inviato insegnanti e medici in tutto il continente, e in Africa. Poco prima che morisse, abbiamo discusso per ore. Ci ha tenuto una lezione sui disastri provocati dal fracking, la devastante tecnica di estrazione del petrolio, e sui rischi che corre l’umanità distruggendo l’ambiente e mantenendo il sistema capitalista. Mi hanno chiesto se a Cuba si violino i diritti umani, ho risposto di sì: a Guantanamo, sequestrata dagli Stati uniti per tenere in carcere e torturare detenuti senza processo. Ho scritto a Obama per chiedergli di chiudere la base navale di Guantanamo e restituire il territorio al popolo cubano. E togliere il bloqueo a Cuba. Mi ha risposto con una lettera di quattro pagine: in sostanza dicendosi rammaricato per non poterlo fare, perché la decisione dipende dal Congresso.