Sentenza storica, in Argentina. Un tribunale ha condannato l’ex presidente de facto Reynaldo Bignone a vent’anni di carcere per la sparizione forzata di oltre 100 persone nell’ambito del Plan Condor. All’ex colonnello uruguayano Manuel Cordero, unico imputato non argentino, la corte ha comminato 25 anni. Bignone, 88 anni, sta scontando l’ergastolo per molteplici violazioni ai diritti umani commesse durante la dittatura civico-militare argentina, dal 1976 al 1983. Fu presidente dall’82 all’83, l’ultimo anno del governo de facto. Bignone è uno dei pochi capi di Stato di un regime militare implicato nel Plan Condor ad essere ancora in vita. Insieme a lui sono stati condannati per sequestro, tortura e sparizione forzata altri 15 ex militari, le cui pene variano da 8 a 25 anni.

È la prima volta che la giustizia comprova quel che la storia ha da anni acclarato: la portata e i delitti della rete criminale a guida Cia mediante la quale i regimi militari sudamericani si scambiavano i «favori» negli anni ’70-’80, eliminando gli oppositori di sinistra ovunque si trovassero: dall’Argentina al Cile, dall’Uruguay alla Bolivia, al Paraguay. Il Piano Condor venne organizzato nel 1975, durante una riunione dei capi dei servizi segreti di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay. In un secondo tempo si aggiungerà il Brasile, e poi anche Ecuador e Perù (seppure con un ruolo meno importante). L’operazione contro «il pericolo rosso» (la diffusione dei governi marxisti nella regione) è continuata anche negli anni ’80, durante la «crociata» di Reagan e Wojtyla contro il comunismo. Molte fonti calcolano che le vittime del Condor potrebbero essere circa 6.000.

Tra i casi più noti, l’assassinio a Washington di Orlando Letelier, ex ministro del governo Allende, ucciso con un’autobomba. E la scomparsa e la successiva uccisione del figlio e della nuora del poeta Juan Gelman, il cui figlio venne ucciso a Buenos Aires. La nuora di Gelman fu portata in Uruguay mentre era incinta. Lì, prima di essere uccisa, dette alla luce una bambina, data in adozione poi ritrovata dal nonno nel 2000.

Al Condor i giudici hanno attribuito 105 esecuzioni e sequestri durante i governi de facto di Argentina, Brasile (1964-1985), Uruguay (1973-1985), Paraguay (1954-1989), Bolivia (1971-1978) e Chile (1973-1990). Delle 105 vittime, 45 erano dell’Uruguay, 22 del Cile, 14 dell’Argentina, 13 del Paraguay e 11 boliviani. In Paraguay, grazie al lavoro dell’avvocato Martin Almada è stato scoperto «l’archivio del Condor». Nel dicembre del 1992, finita la dittatura, Almada torna dal suo esilio in Francia. Ha compiuto anni di ricerca, raccolto numerose testimonianze, ricostruite a partire dalle frasi che aveva sentito pronunciare dai militari quando si trovava nei centri di tortura. Le sue indagini, portate avanti con l’aiuto di un giudice e di un sacerdote, lo conducono a una stazione di polizia alla periferia della capitale Asuncion. Lì scopre una montagna di documenti inscatolati: l’Archivio segreto del Terrore, puntigliosamente documentato dai militari paraguayani. Vi sono anche prove di sequestri e sparizioni in Argentina, in Brasile, Cile, Uruguay.

Materiale prezioso per i diversi procedimenti aperti su singoli delitti. Il processo che si è concluso venerdì in Argentina ha prodotto una enorme quantità di prove, non solo proveniente dagli Archivi del terrore, ma anche dai documenti declassificati dagli Stati uniti durante il governo di Bill Clinton. A marzo, durante la sua visita in Argentina compiuta dopo la vittoria del neoliberista Mauricio Macri, Barack Obama ha accettato di declassificare altri documenti di intelligence, per rispondere a una richiesta storica delle organizzazioni per i diritti umani. Il presidente Usa ha riconosciuto che il suo paese «ha agito con ritardo» rispetto alle violazioni compiute dai regimi militari sudamericani di allora.

Il Condor ha agito anche in Europa, con la complicità di fascisti e servizi segreti. Molte vittime erano di origine italiana e per questo a Roma nel 2013 ha preso avvio il processo Condor, ancora in corso. Riguarda 32 militari e civili di Bolivia, Cile, Perù e Uruguay accusati della scomparsa e dell’uccisione di 33 cittadini italiani e 20 uruguayani.

E il papa Bergoglio ha ricevuto venerdì a Roma in udienza privata Hebe de Bonafini, fondatrice e presidente delle Madri di Plaza de Mayo, storica associazione formata dalle madri dei desaparecidos, i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare argentina. Hebe ha perso due figli e la nuora durante la dittatura civico-militare argentina, che ha provocato circa 30.000 scomparsi. In passato, aveva criticato «il silenzio» del papa durante la dittatura, basandosi su alcune testimonianze poi smentite. Tempo fa, aveva però ammesso di essersi sbagliata. E ieri, durante un «incontro lungo e affettuoso», Hebe ha esposto al papa le preoccupazioni per gli attacchi di Macri alle politiche sociali dei precedenti governi kirchneristi. «Il papa è peronista», ha detto alla fine dell’incontro.