Era stato Beppe Grillo in persona, durante la campagna elettorale del 2012 che condusse all’elezione di Federico Pizzarotti, a dire che Parma sarebbe stata la «Stalingrado del Movimento 5 Stelle». L’allegoria non ha portato bene. Grillo forse ignorava che il toponimo sovietico evoca un’eroica resistenza e una storica conquista. Ironia della sorte, è stato proprio il sindaco di Parma a resistere in questi anni di fronte alle pressioni dei vertici del M5S. Ieri si è formalmente chiusa la vicenda che aveva portato alla «sospensione» di Pizzarotti, con la notizia della completa archiviazione dell’inchiesta che lo vedeva accusato di abuso d’ufficio per le nomine dei vertici del Teatro Regio di Parma. Prima la Procura, poi il gip Paola Artusi, hanno riconosciuto l’iter regolare. «Non c’è stata intenzionalità nell’attribuzione di un vantaggio» quando il sindaco e il consiglio d’amministrazione della Fondazione del teatro lirico scelsero Anna Maria Meo come direttore generale dell’ente e Barbara Minghetti quale consulente di sviluppo. Il fascicolo era stato aperto dopo l’esposto del senatore Pd Giorgio Pagliari (che ieri Pizzarotti ha definito «un piccolo uomo politico») a proposito di due nomine arrivate per chiamata diretta dopo che un bando era andato a vuoto.

I rapporti tra Pizzarotti e il M5S erano gelidi ancora prima di questa vicenda. Proprio come in questi giorni a Roma, tutto era cominciato con una bega legata alla scelta dei dirigenti comunali. All’indomani della sua elezione, Pizzarotti aveva manifestato la sua intenzione di scegliere come direttore generale del comune Valentino Tavolazzi, nientemeno che il primo epurato della storia del M5S. Da consigliere comunale a Ferrara, quest’ultimo si era reso colpevole agli occhi di Gianroberto Casaleggio di aver indetto un’assemblea nazionale dei meet up. «Questo vuole fare un partito», aveva detto Casaleggio a Grillo concertando l’espulsione di Tavolazzi. L’avversione per Tavolazzi, l’affaire Pizzarotti e una lunga serie di epurazioni a Bologna sono capitoli della storia non facile dei rapporti tra l’Emilia Romagna e i vertici del M5S.

Nella terra laboratorio degli albori del grillismo, teatro dell’inattesa prima affermazione alle elezioni regionali e della conquista del comune di Parma portato al tracollo finanziario dal centrodestra, c’è una tradizione civica che mal si conciliava con l’idea di non-partito al tempo stesso dispotico e caotico, spontaneista e verticista, che aveva in mente Casaleggio. Negli anni a ridosso del boom delle elezioni politiche, prima della nascita del «direttorio», il M5S si era trovato a un bivio: dare vita ad una specie di federazione di liste civiche con Grillo a far da garante o tuffarsi nel partito liquido che voleva Casaleggio? Si optò per la seconda ipotesi, e l’Emilia fu il campo di una battaglia il cui esito ha condotto a quella decisione.

Pizzarotti, amministratore moderato che non ha turbato la sonnacchiosa borghesia parmigiana, va ripetendo da tempo: «Quando andremo al governo, come faremo a scegliere 12 ministri e decine di sottosegretari?». «Questa indagine era stata la scusa per il provvedimento di sospensione che noi continuiamo a definire illegittima – ha detto ieri – ora ci aspettiamo che la sospensione venga sciolta. Ma non basta: vogliamo subito un incontro a Parma per chiarire definitivamente la situazione». Poi, ennesima prova del fatto che si parli dell’organizzazione del M5S e non di semplice questione processuale, fa appello ai tanti eletti nelle liste del M5S: «Mi auguro che i tanti amministratori che telefonano a me per lamentarsi e che per paura non protestano apertamente possano finalmente fare sentire la propria voce».

L’archiviazione dell’indagine su Pizzarotti ingarbuglia ulteriormente il dipanarsi della catena di comando pentastellata. Piomba sulle faccende romane. Dopo il duro attacco di Roberta Lombardi , condiviso da diversi parlamentari, sul virus che a Roma starebbe contaminando l’amministrazione Raggi e il precipitoso endorsement di Grillo alla sindaca, ieri è arrivato l’ennesimo tentativo di mediazione del leader. «Virginia lasciamola lavorare – ha detto più o meno Grillo ai suoi – Lei deve portare avanti il programma M5S, per Roma abbiamo scritto un programma meraviglioso. A gennaio poi facciamo il tagliando, vigiliamo passo dopo passo. Ma ora serriamo le file e mettiamola alla prova».

Sarebbe arrivata anche una rassicurazione circa il rifiuto della candidatura alle Olimpiadi, che secondo voci sempre più insistenti sta tentando la sindaca Raggi. Di sicuro lo spettro di una clamorosa inversione a U di Raggi a favore del grande evento sta pesando nella complessa partita tra Campidoglio e direttorio. «A breve Virginia farà una bella conferenza stampa e ritirerà la candidatura», avrebbe detto Grillo ai suoi.