Se non ci fossero, come vorrebbe qualcuno, non è detto che le cose andrebbero meglio, anzi. Molto probabilmente sarebbero peggiori per tutti. Perché con il loro lavoro i circa 2,3 milioni di cittadini stranieri attivi nel nostro paese contribuiscono a creare ricchezza, pagare una bella fetta delle pensioni degli italiani e far crescere una popolazione altrimenti a rischio crac demografico. Chi ogni giorno polemizza su quanto ci costa accogliere i migranti non pensa – o meglio nasconde – il fatto che senza quanti in passato sono arrivati prima dei disperati che oggi cercano rifugio in Europa questo sarebbe un paese più povero e più vecchio.
Immaginarlo non è difficile. Un aiuto lo ha dato ieri il Censis e la descrizione che ne deriva è sconfortante. Ad esempio – spiega l’istituto guidato da Giuseppe De Rita – ci sarebbero 450 mila imprese in meno, tante sono infatti quelle create e condotte da cittadini stranieri. Ma ci sarebbe anche il 20% di bambini in meno con conseguenze sulla scuola pubblica che si tradurrebbero nel taglio di 35 mila classi e 68 mila insegnanti, pari al 9,5% del totale. Gli alunni stranieri nella scuola (pubblica e privata) nel 2015 erano 805.800, il 9,1% del totale.
Anche sul mercato del lavoro la perdita dei migranti significherebbe dover rinunciare a 693 mila lavoratori domestici (il 77% del totale), che integrano con servizi a basso costo e di buona qualità quanto il sistema di welfare pubblico non è più in grado di garantire. Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani. Nel primo trimestre del 2016 i titolari d’impresa stranieri sono 449.000, rappresentano il 14% del totale e sono cresciuti del 49% dal 2008 a oggi, mentre nello stesso periodo le imprese guidate da italiani diminuivano dell’11,2%.
Una radiografia di queste imprese è stata fatta a novembre dell’anno scorso dall’Unioncamere che sottolineava come nell’anno passato ad aprire nuove imprese siano stati soprattutto immigrati provenienti dall’India (+25,8%), dal Bangladesh (+21,1%) e dal Pakistan (+20,3%). Un terzo di tutte le imprese a guida straniera è invece rappresentato da soli tre paesi; Marocco (15,3%), Cina (11,1%) e Romania (11%). Un modo che punta soprattutto sui giovani: un’impresa su quattro è infatti guidata da un under 35, contro il 10% del totale delle imprese italiane.
Tutto questo no può non avere un peso anche dal punto di vista contributivo, dove il rapporto dare-avere sicuramente a vantaggio degli italiani. Ricorda infatti il Censis che i migranti che percepiscono una pensione in Italia sono 141.000, meno dell’1% degli oltre 16 milioni di pensionati italiani. In compenso contribuiscono a pagare le nostre pensioni con un gettito previdenziale calcolato dalla Fondazione Leone Moressa in 10,3 miliardi di euro, soldi che nel 2014 sono risultati indispensabili per pagare la pensione a 630 mila italiani.
Infine la concentrazione geografica. Dei 146 comuni italiani che hanno più di 50 mila abitanti – registra ancora il Censis – solo 74 presentano una incidenza di stranieri sulla popolazione che supera la media nazionale. Tra questi, due si trovano al Sud: Olbia in Sardegna, con il 9,7% di residenti stranieri, e Vittoria in Sicilia, con il 9,1%. Brescia e Milano sono i due comuni italiani con più di 50.000 residenti che presentano la maggiore concentrazione di stranieri, che però in entrambi i casi è pari solo al 18,6% della popolazione. Seguono Piacenza, in cui gli stranieri rappresentano il 18,2% dei residenti, e Prato con il 17,9%.
«Ha fatto molto bene il Censis a mettere in luce un aspetto troppo spesso dimenticato o rimosso: l’importanza economica e sociale dell’immigrazione per il nostro Paese. Senza immigrati, l’Italia e l’Europa muoiono» ha commentato i dati del Censis monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della fondazione Migrantes.