Coinvolgere gli intellettuali di fronte alla crisi prodotta dal Covid-19 è l’appello rivolto dallo storico camerunese Achille Mbembé sulle antenne di Radio France Internationale lo scorso 22 aprile, per invitare a una riflessione critica su due aspetti cruciali.

PARTENDO da un osservatorio articolato come quello dell’Africa, lo studioso sottolinea in primo luogo che il linguaggio del «catastrofismo» rappresenta una modalità ricorrente per delineare il destino del continente, su cui incomberebbero, a ripetizione, gravi minacce. Ciclici sono infatti gli annunci di calamità nelle quali l’Africa si starebbe per imbattere, ma che poi, spesso, «non si realizzano»; di conseguenza, ormai, le popolazioni locali «ne hanno abbastanza e finiscono per non ascoltare più».

La logica del catastrofismo non si rivela dunque «in grado di render conto delle dinamiche di società plurali e composite, abituate a mettere a profitto le esperienze passate».

In secondo luogo Mbembe si sofferma su una verità difficile da accettare: «Gran parte della storia umana è fatta d’imprevisti» e il Covid-19 ce lo dimostra; nessuno sa con esattezza come evolverà la malattia. Bisogna allora che le scienze sociali intervengano a livello della gestione del rischio, soprattutto in Africa, «dove la sopravvivenza esige una mobilità quotidiana», al fine di sottoporre ai decisori politici le diverse opzioni, commisurandole alle singole realtà.

L’interrogativo di fondo – «Vi sono maniere alternative per affrontare il rischio attuale, al di fuori del confinamento?» – non va censurato.

L’ESIGENZA DI CERCARE una via africana rispetto alla pandemia è anche posta dal socio-antropologo Abdoulaye Wotem Somparé, già consulente dell’Organizzazione mondiale della Sanità all’epoca dell’epidemia di Ebola nella Repubblica di Guinea. In una testimonianza del 25 marzo, disponibile qui osserva: «Di solito, le catastrofi umanitarie toccano i paesi più poveri e in particolare l’Africa, al punto che il continente è talvolta caricaturato come la terra delle epidemie . Con il Covid-19 assistiamo a un rovesciarsi della situazione ed a uno stravolgimento degli immaginari». Sono i paesi ricchi a risultare le principali vittime della malattia e questa è stata importata in Africa da stranieri o da persone appartenenti a un’élite che dispone dei mezzi per spostarsi all’estero, in direzione del primo mondo, e poi rientra tranquillamente a casa.

Rileva Somparé: «Di fronte a una situazione sanitaria inedita, le voci, in Africa, si sono moltiplicate. Alcuni guineani, animati da fatalismo o afflato religioso, strumentalizzano la pandemia bollandola come sanzione divina contro gli europei colpevoli di ateismo e di decadenza morale. Discorsi simili non sono nuovi: già la crisi di Ebola era stata tacciata, da un lato, quale punizione sovrannaturale e, dall’altro, quale occasione di purificazione collettiva. Nella mia veste di studioso, ritengo invece che ogni epidemia sia rivelatrice di una disuguaglianza sociale» giacché alcuni hanno la possibilità di curarsi e altri no.

LAPIDARIO, LO SLOGAN con il quale il segretario esecutivo dell’Agenzia per lo sviluppo dell’Unione africana, Ibrahim Assane Mayaki, riassume la questione: «Non si può confinare la povertà» (Invité Afrique”, RFI 17-4-2020). Ribadisce così il bisogno di adattare le misure agli ambiti regionali, affinché i più vulnerabili continuino ad avere accesso ai beni essenziali e ricordando quanto sarebbe apprezzabile, per l’Africa, smettere d’importare oltre il 90% dei medicinali consumati.

Una venditrice ambulante nella stazione dei bus di Obalende a Lagos, Nigeria (foto Ap)

Una chiave di lettura teorica del fenomeno pandemico è invece proposta dall’antropologo africanista Jean-Pierre Dozon, in un articolo apparso su omnibook.com (2020). Nel testo, sono enumerati quattro modelli di prevenzione della malattia. Si tratta di paradigmi che enucleano i modi in cui, nella storia, le comunità umane (o meglio chi le dirige) rispondono alle inquietudini sollevate dalle epidemie.

DOZON DISTINGUE fra «modello magico-religioso» (che rinvia la causa delle disgrazie all’intromissione del sovrannaturale, da pacificare in vista di un ritorno della normalità); «modello Pasteur» (dal nome del chimico francese che nel XIX secolo ha concepito i vaccini per ingenerare un’immunità protettiva artificiale); «modello contrattuale» (tale paradigma contempla sia un diritto alla salute di cui sono garanti i poteri pubblici e una biomedicina in costante progresso, sia un dovere alla salute che i cittadini sono tenuti a rispettare diventando dei pazienti-sentinella); «modello della costrizione profana» (il ricorso a misure vincolanti per le popolazioni col fine di prevedere e controllare l’insorgere delle malattie, senza invocare la dimensione del sacro).

Analizzando gli strumenti adottati a livello globale rispetto al Covid-19, Dozon precisa: «Riecheggia, nell’uso variegato della costrizione profana, un fenomeno gigantesco, con l’apparire ovunque di stati d’eccezione, con la sospensione di libertà fondamentali e la possibilità, per le autorità politiche, di governare attraverso decreti. Qualcosa che poteva corrispondere al profilo di un paese come la Cina (dal sistema non pluralista e repressivo, ideale per l’assunzione di misure straordinarie), si è esteso alle realtà democratiche».

RIPRENDENDO IL TEMA, la sociologa Maria Luisa Maniscalco, confida: «Analogamente a tanti periodi di smarrimento, di fronte al Covid-19, il corpo sociale ha cercato conforto stringendosi intorno a un leader. Nella lotta ingaggiata contro il virus le comunità hanno sollecitato l’intervento salvifico della scienza, al punto che epidemiologi e infettivologi sono divenuti i nuovi numi tutelari. Si sta così dimenticando che la scienza procede per tentativi ed errori, muovendosi in maniera non lineare. La resilienza dal Covid-19 deve essere glocale, usufruendo cioè di conoscenze globali e di misure emanate dalle autorità centrali, ma facendo leva al contempo sulle risorse locali e sull’auto-organizzazione, per accrescere le capacità di recupero».

Per questo i richiami che provengono dall’Africa vanno ascoltati.