l modello è la Svizzera, dove la legge di iniziativa popolare che si trasforma in referendum propositivo se il parlamento non la approva è prevista per le modifiche della Costituzione. Da noi invece questa forma di democrazia diretta sarà possibile soprattutto per le leggi ordinarie. Non si potranno tenere referendum propositivi che non rispettano «i principi e i diritti fondamentali» della Costituzione, né contro «i vincoli europei e internazionali». Dovrebbero così essere esclusi referendum temibili come quello per l’introduzione della pena di morte o per il ritorno alla lira. C’è spazio però per referendum propositivi in materia tributaria – argomento escluso dal referendum abrogativo – o per la ratifica di trattati internazionali, firmati ma non ancora adottati dal nostro paese (l’elenco è lungo).

Delle due proposte di revisione costituzionale presentate ieri dal ministro Fraccaro e dai capigruppo di 5 Stelle e Lega, quella sul referendum propositivo è la più interessante. L’altra prevede un taglio di poco più di un terzo dei parlamentari (da 630 a 400 deputati, da 315 a 200 senatori) ed è accompagnata dalla solita retorica sul risparmio «delle poltrone, degli stipendi e dei benefit» alla quale ha dato il suo contributo Di Maio, ieri in conferenza stampa. Potrebbe essere una spinta verso l’efficienza dei lavori, come potrebbe non esserlo. I 5 Stelle hanno ragione nel dire che oggi l’Italia è il paese in Europa con il più alto numero di parlamentari eletti, non dicono però che domani con la riforma avremmo il rapporto tra popolazione e rappresentanti più alto d’Europa (Germania esclusa), un dazio pagato all’antiparlamentarismo. La stima dei risparmi, infine, è probabilmente esagerata: i 5 Stelle che due anni fa contestavano le previsioni di Boschi – parlava di 150 milioni l’anno in meno per l’abolizione delle indennità di 315 senatori – adesso danno per sicuri 100 milioni di risparmi per la cancellazione di 345 parlamentari. Il calcolo effettivo delle indennità e rimborsi di cui si farebbe a meno (al netto dei versamenti fiscali persi) si ferma a circa 69,5 milioni; tutto il resto sono possibili economie nell’apparato: pure ipotesi.

La proposta sul referendum prevede l’aggiunta di sette commi all’articolo 71 della Costituzione. Accanto alle proposte di iniziativa legislativa «semplici», per le quali bastano 50mila firme ma che sono di regola trascurate dalle camere, arrivano le proposte «rafforzate» che richiedono lo stesso numero di firme previste dal referendum abrogativo: 500mila. Solo per queste, nel caso in cui il parlamento non approvi la proposta entro 18 mesi dalla presentazione (con un vaglio di legittimità della Consulta previsto in ogni caso, ma possibile anche dopo la raccolta delle prime 100mila firme), scatta il referendum propositivo senza quorum. Sul testo della legge presentata dai cittadini (per approvarlo basta la maggioranza di sì) o su due testi contrapposti (vince chi ha più voti), se il parlamento avrà nel frattempo approvato una legge diversa sullo stesso argomento. Diversa anche in piccoli dettagli: al comitato è affidata la possibilità di recedere o tentare fino in fondo la sfida referendaria.

Se la riforma sarà approvata (ma non in sette mesi come dice Di Maio) servirà in ogni caso una legge applicativa, potrebbe essere l’occasione per sistemare la vecchia legge sul referendum (del 1970) che ha molti limiti, soprattutto dal versante della raccolta delle firme. Così come servirà una modifica alla legge elettorale per adattarla al ridotto numero di parlamentari: nella relazione si prevede di confermare il Rosatellum (contro il quale i grillini fecero fuoco e fiamme) perché, ha detto Fraccaro, «non è questa la sede». Di certo M5S e Lega avrebbero idee diverse.

Intanto il partito di Salvini ha firmato queste due proposte di riforma puntuali e organiche (altre se ne annunciano per abolire il quorum al referendum abrogativo e abolire il Cnel), ma annuncia intenzioni assai più pesanti. Tipo il presidenzialismo e l’elezione dei giudici.