A un anno dal primo caso di Covid registrato nel paese, il sistema sanitario brasiliano vive il suo momento più drammatico. Anticipata dalla tragedia di Manaus, con i medici costretti a ricorrere alla ventilazione manuale per mancanza di ossigeno, la nuova ondata ha investito pesantemente il Brasile, portando a circa 10,5 milioni il numero dei contagiati e a quasi 253mila quello dei morti.

DA OLTRE UN MESE muoiono ogni giorno più di mille persone, con il record, segnato giovedì, di 1.582 decessi, mentre negli ospedali di 17 capitali i reparti di terapia intensiva sono occupati per più dell’80%. «Non abbiamo mai vissuto una situazione così grave», ha dichiarato il governatore dello Stato di Bahia Rui Costa, esprimendo il timore che il paese possa sprofondare nel caos entro due settimane. Tanto più di fronte al rallentamento registrato dalla campagna di immunizzazione, a causa dei noti ritardi del governo nell’acquisto dei vaccini.

A dirsi preoccupato è persino il ministro della Salute, l’incompetente generale Eduardo Pazuello, sotto indagine per la sua scandalosa gestione dell’emergenza sanitaria a Manaus e già in odore di destituzione, ma sempre pronto a scaricare la responsabilità su qualcos’altro, che si tratti del clima umido o della fragile infrastuttura ospedaliera della città amazzonica o delle nuove varianti del virus.

«IL VIRUS MUTATO è tre volte più contagioso e la velocità con cui ciò avviene può mettere in crisi la struttura sanitaria», ha avvisato il ministro, la cui principale impresa è stata, come ha notato lo scrittore Eric Nepomuceno, quella di piazzare militari nei posti del ministero della Salute «prima occupati da medici, ricercatori e scienziati».

Neppure di fronte alla nuova ondata è cambiato comunque l’atteggiamento di Bolsonaro, il quale, dopo essersi scagliato contro le mascherine perché farebbero male ai bambini, è andato in visita in Ceará creando i soliti assembramenti e criticando le nuove restrizioni alla circolazione disposte dai governatori di fronte alla nuova ondata: «La gente vuole lavorare. I governatori che chiudono tutto e distruggono posti di lavoro calpestano la volontà del popolo». E anzi sono loro, ha minacciato il presidente, che dovranno farsi carico del sussidio di emergenza che sarà nuovamente versato a partire da marzo alle fasce più povere della popolazione: «Non possono continuare a far politica e scaricare sulle spalle del presidente della Repubblica questa responsabilità».

Ma, anche al di là della «tragedia» sanitaria in corso, come l’ha definita il direttore emergenze dell’Oms Mike Ryan, è indubbio che il paese stia attraversando una delle fasi più oscure della sua storia, in cui lo smantellamento di tutte le conquiste realizzate dal ritorno della democrazia nel 1985 va di pari passo con una sempre crescente militarizzazione.

Se infatti, in base a un rapporto della Corte dei Conti, il numero di militari presenti in tutti i livelli di governo è più che raddoppiato sotto Bolsonaro, passando da 2.765 a 6.157, c’è chi, come la ex presidente Dilma Rousseff, parla, lanciando l’allarme, addirittura di 11mila: «Non si può pensare – ha dichiarato – che sarà facile togliere 11mila militari dal governo e farli tornare in caserma».

FINO A CHE PUNTO del resto si sia spinto il protagonismo dei militari sulla scena politica lo hanno indicato chiaramente le clamorose interferenze sul potere giudiziario in relazione al caso Lula, tornate nuovamente alla ribalta con le rivelazioni contenute nel libro dell’ex comandante dell’esercito Eduardo Villas Bôas, il grande stratega della vittoria di Bolsonaro.