Le sorprese non mancano, con questo governo, e la sensazione è che si faccia a gara a piazzare quanti più ostacoli possibili per i cittadini stranieri che vivono nel nostro Paese e sempre più iniqui. Nelle scorse settimane tra i commenti allarmati sulle modifiche introdotte dal decreto «sicurezza», non si era mancato di sottolineare uno dei tanti interventi ingiusti, quello sulla richiesta della cittadinanza italiana: l’aumento da 200 a 250 euro del contributo obbligatorio da pagare per presentare la domanda e il prolungamento dei tempi per ottenere una risposta da 24 a 48 mesi. Modifiche incomprensibili soprattutto agli occhi delle migliaia di cittadini stranieri regolarissimi i quali, dopo aver aspettato almeno dieci anni per poter finalmente accedere al percorso di cittadinanza e vedersi riconoscere diritti e opportunità, si ritrovano ora beffati e costretti a superare nuovi ostacoli che di fatto «impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», tanto per ricordare l’art. 3 della nostra Costituzione.

Adesso, si è andati oltre: un emendamento della Lega al decreto fiscale prevede un prelievo dell’1,5% su tutti i trasferimenti di denaro diretti verso i paesi extraeuropei, da aggiungere alla commissione già prevista. Un vecchio cavallo di battaglia leghista, già proposto nel 2011 dall’allora senatore Massimo Garavaglia, oggi sottosegretario all’economia, in termini simili – una tassa del 2 per cento sui trasferimenti fatti da persone senza codice fiscale e matricola Inps, e quindi irregolari – e oggi perfezionato e riproposto. La ricetta vessatoria nei confronti degli stranieri è sempre la stessa. Non possiamo dimenticarci che nel 2009 fu introdotta nel nostro paese la «tassa di soggiorno» e cioè il contributo da pagare per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, arrivando a chiedere fino a 200 euro, importo di quasi quaranta volte superiore a quello pagato dai cittadini italiani per avere la carta di identità cartacea. La misura evidentemente discriminatoria, su cui si era espressa criticamente anche la Corte di giustizia europea, è stata cancellata solo nel 2016 su intervento del Tar per poi essere nuovamente introdotta nel 2017 con importi più bassi.

La Fondazione Moressa, da sempre osservatorio attento sull’economia dell’immigrazione, ha spiegato bene cosa significhi questo nuovo balzello sulle rimesse degli immigrati, che nel 2017 sono arrivate a valere 4,13 miliardi di euro: tra commissione e prelievo, verrebbe trattenuto circa il 7% degli importi, un costo altissimo per i lavoratori immigrati e soprattutto per le famiglie nei paesi di origine destinatarie dei trasferimenti. Per lo Stato, entrate per circa 62 milioni di euro. Il tutto mentre a livello internazionale – G20 e Onu – si lavora per fare in modo che l’incidenza delle commissioni sui trasferimenti non superi il 3 per cento.

Facile immaginare quale sarà la scelta – obbligata – di fronte a questa misura ingiusta: rivolgersi ai circuiti illegali che offrono un servizio del genere e che non aspettavano altro per arricchirsi. È lo stesso meccanismo perverso per cui il governo del cambiamento dichiara guerra agli stranieri irregolari e all’illegalità, salvo poi abolire la protezione umanitaria e imporre illegittimamente una stretta sul diritto d’asilo, provocando di fatto un aumento delle persone senza documenti e garantendo manodopera da sfruttare alla criminalità.

I dati nei prossimi mesi non tarderanno a confermare queste previsioni e tante saranno le sentenze che interverranno su questa materia: sappiamo da tempo che l’approccio repressivo e discriminatorio della Bossi-Fini ha fallito ed è insensato riproporlo oggi, in un paese così profondamente cambiato. Quella legge va definitivamente superata, ripartiamo da qui.

* ricercatrice