Da quando si è scoperto che la nostra salute dipende in gran parte dai centomila miliardi di batteri che vivono nel nostro intestino, riconosciuto anche come secondo cervello, ogni settimana compare uno studio sul fantastico mondo del microbiota intestinale. Sul canale culturale europeo Arte tv c’è una serie di documentari molto istruttivi sull’argomento. Uno di questi, disponibile sul sito (www.arte.tv) fino al prossimo 4 gennaio ma solo in francese (e vai a capire perché non l’hanno messo nella sezione in italiano), si intitola Microbiote, les fabuleux pouvoir du ventre (Microbiota, i favolosi poteri dell’intestino).

La foltissima popolazione di quei batteri equivale a una foresta dove ogni pianta, arbusto, fiore, radice ha una funzione. Se quel rapporto è in equilibrio la foresta resta rigogliosa, ma se una specie prevale su un’altra cominciano i guai. La stessa cosa succede nella nostra pancia i cui batteri hanno una quantità di funzioni come trasformare il cibo, selezionare vitamine, produrre molecole che sono come una piccola fabbrica medicale. Se si perde quella ricchezza, il capitale per l’immunità che ci garantisce una buona salute viene intaccato.

L’equilibrio del microbiota dipende da una quantità di fattori come alimentazione, stile di vita, eccesso di antibiotici soprattutto nei primi tre anni di vita, condizioni ambientali. Si è scoperto, per esempio, che i bambini nati con parto cesareo hanno un microbiota molto più povero perché non ingeriscono i batteri materni uscendo dal canale vaginale. Per ovviare a questa mancanza in Francia hanno iniziato una sperimentazione facendo succhiare a questi neonati un cotton fioc imbevuto con un cocktail di batteri vaginali della madre.

Lo stile di vita occidentale ha fatto sì che una persona su quattro abbia perso la ricchezza del suo microbiota. Per capire come eravamo un tempo, l’antropologo americano Jeff Leach ha studiato i batteri intestinali di due popolazioni che vivono in modo molto simile ai nostri super antenati, gli Hadza in Tanzania e una tribù dell’Amazzonia. Ci ha messo parecchi mesi a convincere gli Hadza a sfrucugliare nella loro cacca, perché l’unico modo per conoscere la qualità del nostro microbiota intestinale è analizzare le feci, ma alla fine c’è riuscito ed è diventato loro amico, tant’è che oggi loro lo chiamano il Dottor Merda. Dalla cacca possono derivare anche cure molto efficaci grazie al trapianto fecale che reintroduce in un intestino disastrato i batteri buoni che mancano. In Italia lo eseguono al policlinico Gemelli di Roma per trattare patologie come il clostridium difficile.
Negli Usa, dove per questa malattia ogni anno muoiono 29mila persone, sono andati oltre e hanno creato la OpenBiome, un’organizzazione non profit che fa ricerca, promuove il trapianto fecale e ha costituito una Banca delle feci. Se da noi si diventa donatori di merda solo a titolo gratuito, come per ogni trapianto, negli Usa sono più pragmatici e si viene pagati, tant’è che c’è chi guadagna fino a mille dollari al mese per circa tre deponie settimanali.

Non crediate però che sia facile entrare in quella lista. Prima di accettarvi vi rivoltano come un calzino per verificare che siate sanissimi e, infatti, la percentuale degli ammessi è solo del 3%. «Praticamente – ha detto una dottoressa di OpenBiome – è più facile entrare a Harvard che fra i nostri donatori». Insomma, bisognerà rivedere anche l’elenco delle offese perché dire a qualcuno “Faccia di merda” in futuro potrebbe diventare un complimento. Il resto, ed è tanto, ve lo racconto nelle prossime puntate.

mariangela.mianiti@gmail.com