Fiumi di parole, un oceano di retorica, una montagna di apparenti buone intenzioni che non partoriscono neppure il classico topolino. Non passa giorno senza il mantra di autorevolissimi rappresentanti delle istituzioni, della politica e anche del mondo economico sull’emergenza climatica, sull’economia verde, sulla sostenibilità ambientale, sul collasso della natura e sulla tragedia della moria delle api. Zingaretti ha dedicato la sua vittoria alle Primarie alla giovane Greta, il presidente del Consiglio annuncia la svolta verde, Grillo fa l’elogio della mobilità contro la proprietà dei mezzi privati.

Da anni sono impegnato esclusivamente ed unilateralmente nella costruzione di un distretto biologico in una splendida zona del viterbese, 13 comuni della Tuscia e dei monti Cimini, un territorio pieno di storia, di ricordi antichi e medievali, con piccoli comuni sospesi su rocche tufacee, un territorio ricco di forre e della preziosissima nocciola gentile romana. Un frutto, la nocciola, che da straordinaria risorsa rischia, in un futuro non troppo lontano, di trasformarsi in una maledizione. Di ciò dovremo ringraziare la monocultura, la coltivazione intensiva e l’opera predatoria della multinazionale Ferrero.

La nostra lotta per l’affermazione di un territorio e di un’agricoltura sostenibile è difficile, è complessa, ma non disperata. Il 5 di Settembre nell’assemblea dei sindaci, dei produttori e delle associazioni del Biodistretto abbiamo approvato una delibera con la quale i comuni si impegnano ad emettere ordinanze che riducono rigorosamente l’uso dei fitofarmaci, che impongono distanze e criteri rispettosi della salute e delle coltivazioni biologiche e infine si impone senza incertezza sulla base dell’elementare “principio di precauzione” il divieto assoluto dell’uso dell’erbicida glifosate e di quei pesticidi (neonicotinoidi) che sono responsabili della strage delle api.

Non sono petizioni per un futuro improbabile, perché la gran parte dei nostri comuni ha già adottato queste ordinanze. Non solo, grazie alla nostra iniziativa e a consiglieri regionali di buona volontà, la Regione Lazio, prima e unica, ha approvato una normativa molto interessante sull’istituzione dei Biodistretti; la speranza, non la certezza, è che dia buoni frutti. In sostanza, se restiamo nei nostri villaggi non abbiamo ragioni per essere disperati. Pur tra problemi, difficoltà, tante contraddizioni, ma lentamente si fanno passi avanti.

Lo sconforto viene quando alziamo la testa e guardiamo alla grande politica e alle scelte dei governi, allora si scoprono grandi ipocrisie e tante furbizie. Ipocrisia, perché la logica che guida il main stream, l’orientamento culturale e scientifico sulla tragedia del cambiamento climatico è una continua rimozione di un aspetto fondamentale.

Se si vuole realmente affrontare il problema della presenza e dell’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera non si può ignorare il ruolo centrale dell’agricoltura, che va ben oltre l’infamia della deforestazione. Esiste un nesso stringente ma rimosso e occultato in modo fazioso e interessato fra il sistema di produzione agricolo e l’anidride carbonica in atmosfera, fra la chimica dell’agricoltura intensiva e il cambiamento climatico.

In una conferenza internazionale di scienziati tenuta alla Fao nel 2017 si è giunti alla conclusione che sotto i nostri piedi, in quei 70 cm di suolo che sono il vero laboratorio della vita, è concentrato il doppio di anidride carbonica di quella che è presente in atmosfera. Se il suolo viene trasformato, cosa frequentissima, in una discarica chimica, questo polmone della natura non solo non assorbirà più anidride carbonica, ma la libererà in atmosfera in quantità impressionanti.

Si discute e si fa giusta polemica sull’Amazzonia ma sul disastro chimico in agricoltura nei luoghi importanti della politica si dice poco o nulla. La ragione è elementare: nel primo caso si denuncia un aspirante dittatore dell’America del Sud, nel secondo bisognerebbe denunciare l’industria chimica, le multinazionali dell’agroalimentare e quel sistema di potere nel quale molti sono compromessi e che ha imposto e continua a imporre la chimica di sintesi in agricoltura.

Se guardiamo al comportamento del governo in carica la cosa non migliora, anzi. Prima, con gli esordi infelici dell’attuale ministra dell’agricoltura, la renziana Teresa Bellanova, sugli Ogm; poi, ed è molto più grave, con la presentazione di una bozza del Pan (Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci) nel quale è assente un capitolo dedicato agli effetti sull’ambiente dei pesticidi e alle conseguenze e rischi per i soggetti che sono esposti ai fitofarmaci. Questione su cui vi è ormai una letteratura sconfinata.

Una studiosa e scienziata seria come la dottoressa Patrizia Gentilini ci ricorda che nello Stato di Washington proprio per effetto dei pesticidi c’è il 33% di mortalità precoce per il Parkinson e in Francia il Parkinson dei contadini è stato dichiarato malattia professionale.

Le dieci maggiori associazioni ambientaliste ed agricole italiane denunciano l’attuale bozza del Pan emessa dai tre ministeri competenti perché non è neppure coerente con le finalità indicate dalla direttiva europea 2009/128/Ce sull’uso sostenibile dei pesticidi. In questa bozza che dovrebbe esprimere la visione generale e la strategia del governo sull’agricoltura non si indica con chiarezza l’obiettivo della riduzione dell’uso dei pesticidi, non si dice nulla su quel glifosato vietato recentemente in Austria, né sui pesticidi che causano la moria delle api, non si riconosce la priorità della conversione agro-ecologica del territorio. Siamo all’anno zero, altro che il “new deal verde” del presidente del Consiglio Conte.

*Presidente Biodistretto della via Amerina e delle Forre