Con il suo grafico a elefante ha illustrato meglio di chiunque altro gli effetti economici della globalizzazione: la proboscide finale parte in negativo rappresentando la classe media occidentale che ha perso più di tutti quote di ricchezza e si conclude con il picco in alto dei super paperoni che guadagnano come mai hanno fatto. Ora Branko Milanovic, 64enne economista serbo ormai da un decennio in America e tra i massimi esperti di diseguaglianza globale, guarda avanti. A Roma – per l’evento “Le disuguaglianze tra i mondi e nei mondi” organizzato da Forum Disuguaglianze Diversità, Asvis, Acli e Oxfam nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile – spiega le sue previsioni sul mondo che verrà.

Professor Milanovic, nel dopoguerra l’Europa ridusse la diseguaglianza e garantì prosperità a buona parte della popolazione tramite l’invenzione del welfare state pubblico che aiutava i bisognosi. Oggi non è più la ricetta giusta?

Dovrebbe cambiare. Il welfare state tradizionale non regge più perché si basava su tre pilastri ormai poco sostenibili. Il primo era l’educazione, ma ormai nelle nazioni più ricche si è raggiunto un livello altissimo e non può migliorare. Il secondo erano i sindacati che oggi però sono in declino e non riescono a rappresentare i lavoratori più deboli. Il terzo si basava su un’alta tassazione dei redditi che ora non può più raggiungere i livelli degli anni sessanta. Oggi serve un cambiamento filosofico, un’uguaglianza delle competenze puntando più sulla qualità: per esempio un’educazione pubblica gratuita, una forte tassazione delle rendite e compartecipazione nelle imprese con i lavoratori azionisti.

Lei dà grande rilevanza all’aumento della ricchezza in Asia: la crescita esponenziale di Cina e India si sta trasferendo sui salari dei lavoratori. Questo spostamento quali conseguenze avrà per noi europei?

La crescita dei redditi in Asia è un dato semplicemente numerico che ha conseguenze globali positive. Un miliardo e mezzo di persone si sta relativamente arricchendo e anche per questo la globalizzazione è vista meglio in Vietnam che in Francia. I cinesi si stanno spostando verso livelli mediani di redditto e questo potrebbe avere effetti positivi rispetto ad esempio al fenomeno della delocalizzazone delle imprese europee. Detto questo la globalizzazione porta cambiamenti anche a chi non si sposta: all’opposto le classi medie occidentali sono invece trascinate verso il basso anche se la loro situazione reddituale non cambia e questo processo non può rimanere senza conseguenze politiche e sociali.

Il suo prossimo libro si intitolerà «Capitalism, alone» e parte dall’assunto che ormai abbiamo un solo modello economico. Se il capitalismo continuerà a produrre diseguaglianze così inaccettabili lei non pensa che potrebbe rinascere una qual forma di comunismo come alternativa ineludibile?

Il mondo è troppo complicato per avere un solo modello. In realtà abbiamo già due versioni di capitalismo. Una che potremmo chiamare politica e che è essenzialmente il modello cinese che io considero capitalismo a tutti gli effetti. La seconda è una evoluzione del capitalismo delle origini che, tramite la globalizzazione, è diventato sempre più tecnocratico e autoritario. Questi due modelli sono in competizione e uno dei due è destinato a dominare e io, volendo essere ottimista, credo sarà quello che avrà più attenzione per la componente lavoro. Quanto al comunismo, nel mio libro ne darò un giudizio storico negativo, anche se non posso anticiparlo. Per questo non penso che possa tornare. Credo comunque che la diseguaglianza sul lungo periodo sia insostenibile e quindi altri modelli sono possibili se non auspicabili. Anche perché l’ideologia del «fare soldi», del guadagnare ad ogni costo sta mettendo a rischio anche il valore universale della democrazia. Oramai sembra dimostrato che non puoi vincere le elezioni senza corruzione e la democrazia sembra non funziona senza corruzione.

A proposito di elezioni, cosa pensa del risultato in Italia? Lega e M5s hanno un contratto di governo che mette assieme la flat tax e il reddito di cittadinanza? Lo ritiene possibile? Che effetti avrebbe sulla diseguaglianza?

La flat tax è una roba da 19esimo secolo che chiaramente aumenterebbe le diseguaglianze. Metterla assieme ad un redditto di base universale è molto strano e inusuale, non è mai successo in alcun paese al mondo. È il frutto di un compromesso che si rivolge a due elettorati molto diversi: la flat tax ai piccoli imprenditori del nord e il reddito di cittadinanza ai disoccupati del sud. Ma considerarli e tenerli separatimi sembra molto difficile. Più in generale penso che l’esito delle elezioni italiane abbia in comune qualcosa con Stati Uniti e Francia: già Trump e Macron hanno lanciato una combinazione di politiche populiste e pro-ricchi.

Lei in un altro grafico prevede che nel 2050 l’incidenza di classe e territorio di appartenenza rispetto alla diseguaglianza avrà la stessa composizione del 1850 ai tempi di Marx, molto diversa da quella odierna in cui la provenienza territoriale è preponderante. Però sostiene che il fenomeno migratorio rimarrà fondamentale nei prossimi anni.

Sì perché l’elemento territoriale rimarrà significativo e continuerà a spingere milioni di persone verso l’Europa e l’Occidente. Per questo voi italiani dovrete affrontare un periodo di transizione non breve in cui i migranti economici continueranno ad arrivare. Poi certo, tra una trentina d’anni la provenienza di classe sarà più rilevante anche perché le attuali periferie del mondo, compresa una parte di Africa, saranno più ricche. In quel momento un altro modello sarà necessario.