Le funivie – intese come aziende del settore – in Italia sono oltre 400, per circa 1500 impianti di risalita. Il fatturato annuo generato è superiore a 1,2 miliardi di euro e danno lavoro a 15mila persone, due terzi di queste con inquadramento stagionale. Al numero indicato vanno aggiunte diverse altre migliaia di lavoratori dell’indotto tra rifugi, istruttori degli sport invernali e attività commerciali collegate. Il fatturato si quadruplica nella somma di queste attività e raggiunge addirittura gli 8 miliardi stimando eventi, ristorazione, shopping e turismo sul territorio, edilizia e realizzazione di infrastrutture.

La commistione tra pubblico e privato non riguarda però solo la costruzione degli impianti, delle relative opere di accesso sul territorio e delle opere di approvvigionamento idrico – altamente onerose – ma investe spesso anche la gestione degli impianti stessi. I caroselli sciistici non viaggiano perennemente in profitto: l’innevamento artificiale non sempre e non a tutte le quote è garantito dalle condizioni climatiche necessarie e in taluni comprensori, spesso di piccole dimensioni, l’intervento del pubblico – a livello di amministrazioni locali o come Regione- è necessario ad aiutare bilanci in passivo.

Se la stagione invernale scorsa si è conclusa senza che il Covid andasse a influire troppo pesantemente sul calendario delle attività – la categoria stima un calo del 15-20% – altrettanto non si può dire di quella alle porte. L’apertura degli impianti nei comprensori sciistici è vietata, ma anche al di fuori non è più regolamentata, perché nel frattempo sono scaduti i protocolli siglati per la stagione estiva tra la categoria e il governo. A tal proposito la questione non è puramente teorica, perché se è vero che nella stragrande maggioranza dei casi non ha senso aprire un impianto di risalita senza sciatori, ci sono le eccezioni di quelle funivie che servono grossi rifugi o resort in quota, e che limitatamente al periodo delle feste potrebbero ritenere opportuno investire su aperture mirate.

Gli impiantisti a ogni modo non sono rimasti con le mani in mano, e già dallo scorso fine settimana hanno iniziato a innevare le proprie piste. Non sono state però le basse temperature a convincere gli imprenditori: i cannoni si sono accesi dietro lo stanziamento di fondi pubblici, in Lombardia, in Piemonte e in Trentino. Gli albergatori hanno insistito perché si arrivasse a una soluzione del genere, nella speranza di non scoraggiare eventuali prenotazioni. La Provincia di Trento ha messo a disposizione 5 milioni di euro per l’innevamento, soldi che valgono tra un quarto e un quinto della spesa stagionale destinata a tale scopo. Per quanto riguarda invece le previsioni sulla perdita di fatturato legata ai mancati introiti da blocco dell’attività, gli impiantisti trentini valutano 75 milioni e Bolzano ne aggiunge 125. Il tutto considerando il termine delle restrizioni al 6 gennaio, ed escludendo quindi dal conteggio il 50% della stagione e dei guadagni.

Gli sportivi più in vista del settore si uniscono alla richiesta di aprire gli impianti: «Lo sci è per eccellenza sport all’aperto e individuale – sottolinea Alberto Tomba -. In più, visto come ci si veste quando si va a sciare, non è davvero un problema di mascherine. E poi sciando non c’è neppure un problema di distanziamento». Anche a livello logistico il grande campione vede poche controindicazioni. La sciatrice azzurra Federica Brignone si fa portatrice delle istanze degli imprenditori: «È molto importante che gli impianti sciistici aprano a Natale. Tanti già fanno fatica ad arrivare a fine stagione, a pareggiare i conti, Natale fa la grossa fetta. Già saltando il periodo di Sant’Ambrogio la perdita è ingente, ma chiudere fino a fine anno sarebbe un danno irreparabile».

Al momento l’unica attività sciistica concessa è proprio quella legata alle competizioni e agli allenamenti di atleti professionisti, o amatori di interesse nazionale. Proprio ieri la Federazione Italiana Sport Invernali ha allargato agli atleti delle categorie giovanili e master la definizione di atleta di interesse nazionale, ma manca ancora l’approvazione del comitato tecnico scientifico per validare l’inclusione.