Luana D’Orazio con i suoi 22 anni è sicuramente la lavoratrice più giovane ad aver perso la vita. L’eco mediatica che ha avuto la sua morte è dovuto a questo – e anche, il terrificante sistema funziona così, al suo viso grazioso che ha inondato giornaloni e tg di solito refrattari agli oltre due morti sul lavoro giornalieri.

LA STRAGE SUL LAVORO non si è mai fermata nemmeno con la pandemia con le fabbriche e i campi sempre aperti. Nel 2021 ha accelerato nuovamente con numeri che testimoniano come l’emergenza sia totale e mai affrontata seriamente. La striscia di sangue continua imperterrita: nei primi tre mesi di quest’anno, rileva l’Inail, sono stati 185, ben 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020: l’aumento è dell’11,4%.

Un andamento che rispecchia quello che è successo nel 2020: «Le denunce con esito mortale nel 2020 sono state 1.270, pari a 181 in più rispetto al 2019, con una crescita del 16% – ha riferito qualche giorno fa il presidente dell’Inail in quota leghista Franco Bettoni, in occasione della Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro.

Dal punto di vista delle classi di età preoccupa il raddoppio dei morti nella classe 60-69 anni: dai 19 dei primi tre mesi del 2020 ai 38 del 2021, sintomo di una precarizzazione del lavoro per chi a quell’età dovrebbe essere in pensione.

La formula burocratica dell’Inail – «denuncia con esito mortale» – fa il paio con «morti bianche», espressione che da oltre 20 anni non si riesce a cancellare.

Luana è morta in un’azienda tessile, settore poco battagliero sindacalmente, anche se Cgil, Cisl e Uil di Prato hanno deciso di proclamare 4 ore di sciopero per venerdì. Più battaglieri sono i due settori più colpiti dalle morti e incidenti sul lavoro: edilizia e agricoltura. Proprio sul manifesto la Fillea Cgil aveva denunciato a fine febbraio un aumento del 150% dei morti sul lavoro nei cantieri: 31 contro i 12 dello stesso periodo 2020. La causa è per il 48% caduta dall’alto, il 26% lavoratori travolti da materiali. Nel 33% dei casi i lavoratori erano totalmente o parzialmente irregolari; erano il 25% (4 casi su 12) nello stesso periodo 2020. Il 43% delle vittime è tra i 40 ed i 60 anni, il 43% over 60, di cui 2 over 70.
Le proposte della Fillea Cgil per combattere il dilagare dei morti e infortuni sul lavoro sono precise. Primo: il Durc di congruità – il documento unico di regolarità contributiva – che faciliterebbe l’emersione del lavoro nero; la «patente a punti»: ogni azienda parte da 30 punti e ne perde se ha infortuni e incidenti per propria responsabilità – lavoratori senza caschetto, ponteggi non a norma – e allo stesso modo guadagna punti se investe in sicurezza e formazione (se l’azienda azzera i punti è temporaneamente bloccata a partecipare agli appalti mentre nelle gare a parità di offerta economica vince chi ha più punti nella patente). Terzo: l’aggravante lavoro sull’omicidio colposo. Oggi non ci sono condanne di imprenditori responsabili di morti sul lavoro superiore ai 5 anni e così non sono possibili sequestri patrimoniali e i parenti non possono rivalersi sui responsabili della morte dei loro cari.

Per quanto riguarda le campagne gli incidenti e purtroppo i morti vanno ancora più spesso nascosti e non denunciati dal caporale o dal padrone che se ne inventano di tutti i colori per di non prendersi la responsabilità – e magari scaricare i migranti davanti all’ospedale come accaduto più volte nel Pontino – perché raramente fanno rispettare le normative anti infortunistica.

NATURALMENTE L’INCREMENTO dei morti dal 2020 è dovuto in buona parte alle morti avvenute a causa dell’infezione da Covid-19 in ambito lavorativo, che rappresentano circa un terzo dei decessi denunciati all’Inail da inizio 2020. E infatti nei dati 2020 le categorie di lavoratori maggiormente colpite dalla pandemia sono gli operatori socio-sanitari, i medici, gli operatori socio-assistenziali e il personale non qualificato che svolge il proprio lavoro all’interno delle strutture ospedaliere: il 79% del totale. Ma la pandemia ha colpito anche impiegati amministrativi, conducenti di mezzi, addetti ai servizi di pulizia. Anche con il Covid a morire sono sempre i lavoratori più deboli.