Diversi, importanti accadimenti sono in corso nel mondo delle banche, il più recente rappresentato dal fronte Unicredit- Monte dei Paschi. Ma non solo. Processi e cambiamenti di rilievo riguardano Mediobanca e Generali, e fuori dai nostri confini, la Bce. Cominciamo dalle buone notizie. Mentre infatti le minacce della pandemia restano forti, seppure in apparenza meno incombenti, una buona notizia riguarda la Bce che ha deciso di non estendere oltre settembre le limitazioni sulla distribuzione di dividendi e sull’acquisto di azioni proprie, limitazioni che erano state fissate l’anno scorso in presenza dei rischi legati alla pandemia. C’è peraltro da osservare che da tempo diversi analisti mettono in rilievo come gli attuali livelli di patrimonalizzazione delle banche, anche se certo superiori a quelli presenti al momento della crisi del 2008, siano ancora per molti aspetti insufficienti e dovrebbero essere elevati.

Una notizia invece cattiva, almeno per i lavoratori del settore, riguarda il problema delle filiali. Una ricerca ripresa da The Banker, la più nota rivista del settore, ha trovato che il 65% degli alti dirigenti bancari interpellati in giro per il mondo valutano che il sistema basato sulle filiali sarà sostanzialmente morto entro cinque anni. Anche se un’altra rassegna, riportata dalla stessa fonte, appare meno negativa sulla questione, sembra che ci sia comunque da preoccuparsi, anche se gli attuali accordi tra l’Abi e i sindacati e le provvidenze del settore, fanno sperare da noi in un andamento non troppo drammatico.

Comunque, durante la pandemia la decimazione della rete di filiali ha subito un’accelerazione e le banche europee sono state tra le più attive nel processo. Brilla ai primi posti di questa speciale classifica la nostra Unicredit. A proposito di quest’ultima, il nuovo Ad, Andrea Orcel (considerato, subito dopo Draghi, il nostro bancario massimo) all’inizio era molto riluttante ad accollarsi la banca zombie Monte dei Paschi – simbolo quanti altri mai, a suo tempo, del fallimento di un’intera classe dirigente politica e finanziaria-, ponendo comunque condizioni molto pesanti per occuparsene. Ora lo stesso Orcel, avendo il governo accettato in linea di massima quanto richiesto, ha deciso di aprire delle trattative ufficiali. Esse verteranno essenzialmente su quanti miliardi lo Stato dovrà versare. Si parla comunque di più di sei. Unicredit appare, più in generale, intenzionato a mettere le mani solo sulla parte buona dell’istituto senese (i sindacati temono a ragione lo spezzatino), lasciando come al solito al pubblico di occuparsi dei problemi.

Mentre il comunicato dell’azienda del 29 luglio è ricco di informazioni su quanti milioni di nuovi clienti si conquisteranno, su quanti nuovi depositi e su quanti nuovi crediti si metteranno le mani, nessuno dice quanti saranno invece gli esuberi che si verranno a creare. Un dettaglio.
C’è qualcosa di perverso nell’accanimento con cui questo come i precedenti governi abbiano insistito sulla linea delle concentrazioni, linea peraltro perseguita nel tempo da tutto l’establishment nazionale, anche se essa non sembra avere portato negli ultimi decenni a grandi risultati. Con l’acquisizione di MdP da parte di Unicredit si otterrebbe una ulteriore concentrazione di mercato in due soli istituti pigliatutto, mentre nulla si aggiungerebbe alla forza del nostro sistema. Cercare invece di creare un terzo polo o pensare ancora ad altre soluzioni, tra cui quella di crearne uno pubblico, sarebbe stato certo meno negativo. Ma nulla appare più lontano dall’idea di questo governo che estendere il perimetro dello Stato.

Continua nel frattempo la saga senza fine e senza meta apparente intorno a Mediobanca e a Generali (e forse anche ad Unicredit). In queste settimane Leonardo Del Vecchio ha raggiunto la quota del 20% nel capitale di Mediobanca, mentre anche Gaetano Caltagirone ha incrementato la sua portandola al 3%. Come è noto, Mediobanca ha a sua volta il 13% del capitale di Generali – per molti una vecchia signora poco attiva-, essendo l’azionista di riferimento, mentre Del Vecchio possiede il 4,8% e Caltagirone il 5,7%, con contorno di Benetton e di altri.

A nessuno sono chiare le intenzioni dei due azionisti privati, dal momento che le limitazioni normative e politiche escluderebbero la possibilità che essi diventino azionisti di controllo delle due entità, come mostra in un documentato articolo Alessandro Penati su Domani del 24 luglio. Tra le ipotesi che si fanno c’è comunque quella della creazione del maggior gruppo finanziario europeo, mettendo insieme Mediobanca, Generali e Unicredit, banca di cui anche Del Vecchio è azionista. Ma anche questa ipotesi sembra molto difficile da portare avanti.

Mentre ci si interroga sulla volontà reale dei due attori, si rimane molto perplessi di fronte al fatto che temi di questa importanza si decidano nelle segrete stanze, senza che l’opinione pubblica ne venga in alcun modo informata. Ma così vanno le cose da noi.