Abbiamo letto sui giornali un appello rivolto al Pd e a un non meglio definito “campo progressista” attraverso il quale un autorevole gruppo di “intellettuali ed ex eletti” chiede di risparmiarci ”il rituale inconcludente” di un congresso ridotto ad “una conta”.

Sono d’accordo. Al Pd, ma non solo a lui, penso anche a Sinistra italiana e a Art1, serve un congresso vero anche se mi chiedo: con un governo delle destre sulla testa cosa vuol dire un congresso per decidere di tornare ad essere di sinistra?

Se esistono i “rituali inconcludenti” come le “conte” esistono anche gli “appelli inconcludenti” come quelli che sognano “cambiamenti radicali” e “cambi di paradigma”. Appelli nei quali si parla, senza risparmio, del “coraggio di ripensare profondamente se stessi e di andare finalmente oltre se stessi”.

Il tema caro a Nietzsche dell’oltre-passamento e quello della trascendenza caro a Heidegger, in questi appelli è un topos fisso. Per me questi appelli sono molto importanti ma in verità, dati i tempi, non vorrei “oltrepassare” e “trascendere” troppo. Cioè restare troppo nel generico.

Se penso ai rischi che grazie alle politiche del Pd corre l’art 32 della Costituzione, per me prima di ogni cosa serve una autocritica concreta e circostanziata ma da intendere come la fissazione delle premesse dalle quali far scaturire concreti passi verso il cambiamento.

Altrimenti ci avvieremo verso altri fallimenti: non si può salvare l’art 32 senza prima comprendere cosa lo sta mettendo in pericolo. Cioè quali sono le politiche fatte a suo danno.
Ma nel momento in cui pongo la questione politica dell’autocritica nel modo in cui la intendeva Gramsci, mi pongo il problema “dell’ipocrisia dell’autocritica “ (Quaderno 14 (I) § 74) perché per assicurarci che l’autocritica sia operativa (dice Gramsci) deve essere “spietata”, altrimenti “non è efficace”.

Tra le firme prestigiose “dell’appello progressista” c’è quella di Rosy Bindi, impegnata a oltrepassare e trascendere vecchi paradigmi. Da ministra della sanità (governo D’Alema e Prodi), per tante ragioni anche giustificate dal contesto, Bindi ha fatto, secondo me, incaute scelte politiche e varato leggi che oggi si rivelano d’ostacolo per la sopravvivenza dell’art 32 (un tema che ho approfondito con il libro “La sinistra e la sanità dalla Bindi a Speranza con in mezzo una pandemia” Castelvecchi).

Invano in questi anni ho sollecitato un contributo di Bindi per darci una mano. Sono ancora convinto che sarebbe bastata una sua parola autocritica a cambiare le politiche di Speranza e il Pnrr per non spianare la strada alla privatizzazione del sistema e al suo snaturamento (vedi regionalismo differenziato).

E’ quindi sulla base di uno stato urgente di necessità che ancora oggi, anzi soprattutto oggi, di nuovo mi rivolgo a lei, con amicizia e rispetto, per la questione cruciale della difesa dell’art 32.
Mi chiedo: oggi con un governo delle destre cosa scriverebbe sulla sanità in un eventuale nuovo programma del Pd?

Se la sua autocritica non fosse “spietata” come propone Gramsci probabilmente il rischio, come dimostra ripeto proprio il Pnrr firmato da Speranza, sarebbe quello di oltrepassare non i paradigmi ma più concretamente le politiche sbagliate fatte sino ad ora. Se le cose stanno così, a che cosa serve sottoscrivere appelli per rifondare la sinistra quando poi questa sinistra non la si vuole rifondare perché alla fine come scriveva Hume ad “un graffio del proprio dito si preferisce il crollo del mondo”?

In conclusione: gli appelli vanno bene ma scrivere delle tesi autocritiche per cambiare delle politiche sbagliate è meglio. Sarebbe utile scrivere insieme nuove tesi e lavorare a una larga e profonda discussione nel paese. Ribadisco oggi più che mai l’art 32 è in pericolo.