È ancora una volta a un «ovvero» che si può attaccare il governo per pretendere di mantenere la nota di aggiornamento al Def (e di conseguenza la manovra) all’interno dei confini costituzionali. Confini rigidi, da quando nel 2012 è stato introdotto il vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione (all’articolo 81) e con la legge di attuazione costituzionale è stato previsto che il governo possa discostarsi dall’obiettivo del pareggio strutturale solo «in caso di eventi eccezionali» e cioè «grave recessione economica» o «calamità naturali». Ma da quando queste regole (che sono quelle del fiscal compact Ue) sono state introdotte, i governi hanno sempre invocato la necessità di discostarsi dalla via del pareggio, in nome o della recessione o dei terremoti. Nessuno di questi eventi, ha notato l’Ufficio parlamentare di bilancio nella sua valutazione della Nadef inviata ieri al ministero dell’economia e illustrata alla camere, si è verificato da aprile (quando è stato scritto il Def) a oggi. E allora come giustifica il governo lo scostamento dall’obiettivo «vicolato», quello del pareggio strutturale? Nella relazione con cui chiede al parlamento di essere autorizzato allo scostamento, il riferimento è a un comma della legge di attuazione costituzionale che autorizza a rallentare il piano di rientro – nel quale eternamente siamo a partire dal 2014 – per gli eventi eccezionali «ovvero in relazione all’andamento del ciclo economico».

A leggere la relazione che accompagna la Nadef, però il governo Conte va anche oltre, perché non solo richiama «i rischi di rallentamento del ciclo» ma ci aggiunge, quali « fattori rilevanti che giustificano la mancata compliance con la regola del debito» anche «l’indifferibile esigenza di manutenere il territorio, di riportare verso livelli adeguati gli investimenti pubblici e di garantire la sicurezza dei confini». In controluce si possono eleggere gli impegni per la manutenzione delle opere pubbliche, la riforma della legge Fornero e persino la guerra di Salvini all’immigrazione.

Non basta, però, perché dall’Ufficio parlamentare del bilancio è arrivata quella mancata validazione delle previsioni del governo che apre al percorso di contestazione parlamentare della Nadef. Secondo il presidente dell’Upb Pisauro, anzi, la stima reale del deficit non è quella proposta dal governo (2,4 nel 2019; 2,1 nel 2020 e 1,8 nel 2021) ma va rivista al rialzo dal momento che anche quest’anno abbondano le clausole di salvaguardia (il deficit salirebbe al 2,8 nel 2020 e al 2,6 nel 2021). La legge di attuazione costituzionale prevede a questo punto che un terzo dei componenti delle commissioni bilancio possa chiedere al governo di adeguare le sue previsioni alle raccomandazioni dell’Upb e le opposizioni lo hanno già fatto. Ma al governo per andare avanti basterà illustrare alle camere i motivi per cui intende continuare a fare di testa sua. Gli interventi dei deputati di maggioranza ieri hanno fornito qualche anticipazione. Le valutazioni dell’Ufficio parlamentare del bilancio, hanno detto, non sono tecniche ma politiche.