Il fatto che il coronavirus in pochi mesi sia diventato una pandemia minacciosa e difficile da arrestare mette a nudo le contraddizioni di fondo del sistema economico-sociale, i suoi squilibri e insostenibilità. Particolarmente nei paesi del capitalismo storico, le politiche neoliberiste che hanno caratterizzato la ristrutturazione dell’ultimo quarantennio hanno portato all’esasperazione la logica meramente utilitaria, contingente e parziale propria dello sviluppo capitalista. In questi paesi, come in quelli in via di sviluppo che ne hanno seguito l’esempio, sono state drasticamente ridotte le prerogative dello stato nella regolazione del mercato e sono state privatizzate risorse e infrastrutture strategiche.

La conseguenza è l’incapacità dello stato di garantire la migliore funzionalità e piena fruibilità di servizi e beni essenziali per la collettività. All’amputazione delle politiche pubbliche ha corrisposto la crescente riduzione dei sistemi di welfare nella sanità, previdenza, istruzione, edilizia pubblica, e quant’altro. Specie dove lo stato sociale era più sviluppato, anche su questo versante il prezzo pagato dai cittadini è notevole e li rende socialmente molto più deboli.

Un’altra stridente contraddizione consiste nelle straordinarie potenzialità tecnico-scientifiche fornite dalle rivoluzioni della microbiologia e microelettronica e le applicazioni, affatto parziali, che ne sono state fatte. Limiti e difficoltà come quelle che stiamo incontrando nel fermare l’infezione del coronavirus, non solo sul piano medico, ma anche su quello organizzativo e sociale, evidenziano tale discrasia. Due le ragioni principali.

La prima consiste nel fatto che le innovazioni tecnico-scientifiche trovano applicazione nella vita civile solo se e quando si prestano ad una commercializzazione redditizia. Il che si verifica per le non poche innovazioni che hanno un’origine militare, comprese quelle mediche e farmaceutiche. E, in misura tanto più generalizzata, quando si tratta d’innovazioni il cui impiego nella vita civile è l’unica destinazione ipotizzabile fin dall’inizio. Uno dei vari esempi che si possono fare riguarda proprio gli avanzatissimi studi sull’intelligenza di cui è dotato il sistema immunitario. Studi condotti nei primi anni Novanta, ma rimasti confinati nei laboratori di ricerca.

La seconda ragione si riscontra nel fatto che molte delle tecnologie disponibili vengono impiegate con finalità puramente utilitarie e strumentali. Ad esempio, la straordinaria automazione consentita dalla microelettronica viene utilizzata nell’attività produttiva secondo una logica che ricalca quella che caratterizzò l’introduzione del telaio a vapore, poi della catena di montaggio e le altre, volte alla riduzione e più intenso sfruttamento della manodopera.

Pure le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, grazie alla rete, sono straordinariamente innovative quanto a potenza e strumentazione. Ma, a ben guardare, non svolgono funzioni diverse e nuove rispetto a quelle cui servivano i precedenti apparecchi telefonici, televisivi, di memorizzazione e calcolo. Anche in questo caso, siamo molto distanti dalle enormi possibilità che la microelettronica ci potrebbe fornire in mutamenti radicali dei sistemi di lavoro e di vita.

La conclusione è piuttosto amara. La difficoltà che incontriamo nel fronteggiare questa pandemia, come quelle che registriamo nel contrastare gli altri rischi incombenti a causa del riscaldamento del pianeta, di uno squilibrio demografico sempre più insostenibile, di una diseguaglianza sociale divenuta intollerabile dimostrano tutti i limiti e i danni di uno sviluppo senza progresso (come lo definiva Pasolini).