Il Presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha rappresentato l’emblema di una gestione della pandemia che ha privilegiato la morte rispetto alla vita. Bolsonaro è stato il più radicale interprete della “necropolitica”, termine coniato dal filosofo camerunense Achille Mbembe nel suo saggio del 2003. Se la biopolitica normalizza lo stato di emergenza attraverso l’esercizio del controllo sulle vite delle persone, la necropolitica può far leva sull’assenza di misure eccezionali – e quindi ricorrere a una normalità forzata – a fronte di una situazione emergenziale. Se la biopolitica si basa sul “fare”, sul controllo attivo e disciplinare, la necropolitica può basarsi sull’assenza di intervento che contempla la morte come esito socialmente accettabile.

Per questo, la necropolitica si deve basare sulla legittimazione politico-simbolica dell’esposizione al rischio di morte di particolari gruppi e individui. Qualcuno merita di morire, qualcuno può essere sacrificato, alcuni possono non essere curati. “Gli anziani hanno già vissuto”, “i no-vax non meritano le cure”, “siamo disposti a sopportare qualche migliaio di morti per tornare a una vita normale”. La morte fisica diventa così un possibile e legittimo esito della scelta collettiva. Se la biopolitica tratta tutte le vite allo stesso modo e le persone come soggetti da controllare nella normalizzazione dell’emergenza, la necropolitica trasforma gruppi e individui in gerarchie di oggetti da ignorare fino alla morte, in nome della normalità forzata. Le vite assumono un diverso valore e alcune diventano sacrificabili. Per la necropolitica lo spettacolo deve continuare, a prescindere.

È, questa, l’opinione del politologo Yascha Mounk che, intervistato sul Corriere della Sera del 2 gennaio dichiara che “ci siamo abituati al fatto che la nostra vita implicherà più rischi nel 2022 rispetto al 2019, ma collettivamente e individualmente scegliamo che vivere in modo più normale valga la pena di correre quei rischi”. Ma è anche l’opinione di noti virologi e medici, come di membri del Cts. La narrazione necessaria per legittimare questa scelta è puro azzardo, scommessa, roulette, compiuta sulla pelle dei sacrificabili o di coloro che sono classificati come “non meritevoli” e colpevoli. La narrazione che supporta la necropolitica assume che Omicron è lieve, sebbene i dati non siano conclusivi; scommette sul fatto che gli ospedali non andranno in sovraccarico, nonostante la plausibilità di questo scenario. L’azzardo, appunto, è giocato sulla pelle dei fragili, persone non vaccinate e/o non vaccinabili, inclusi i malati che vedono procrastinate le cure o gli interventi per sovraccarico del sistema ospedaliero.

La stessa narrazione, poi, guarda solo ai costi delle strategie basate sulla cautela e non a quelli dell’accettazione dei rischi: azzardo che omette i danni da long-covid, condanna i no-vax a contagiarsi, non considera i dati sulle ospedalizzazioni dei bambini e lascia circolare il virus contro le raccomandazioni della scienza che invitano a contenerne la circolazione per scongiurare lo sviluppo di nuove varianti. Il blocco di interessi oggettivi che sostiene la sacrificabilità fisica di persone e gruppi è legato a doppio filo a quanti temono che la politica ritorni ad essere preminente rispetto all’impresa, ma anche a posizioni anarco-capitaliste e, tristemente, ai critici “da sinistra” dello stato di emergenza, che temono il controllo della vita dove, in realtà, ciò che dovrebbe preoccuparli è la politica della morte.

Alcune delle scelte passate del governo Draghi vanno nella stessa direzione, come la mancata introduzione del lavoro a distanza nella pubblica amministrazione. Ciò a testimonianza di un governo che guarda alla necropolitica come l’unica via rimasta verso la “normalità”, dopo aver omesso di attuare quegli interventi necessari (aerazione delle scuole, obbligo vaccinale, telelavoro) utili alla collettività nel lungo periodo, ma non al consenso immediato degli interessi consolidati e alla tenuta dei precari equilibri di una maggioranza posticcia. Molto poteva essere realizzato, intervenendo sulle condizioni materiali della vita quotidiana e sui luoghi di lavoro, potenziando diritti e benessere. Si è deciso di non farlo in nome di una strategia “only-vax” che lasciasse il resto inalterato e, ora, si scommette alla cieca sull’esito più favorevole, imponendo quella normalità che non si è stati in grado di assicurare per tempo e con lungimiranza.