Chi osserva i dipinti di Georg Zuter (1942-2018) non può sottrarsi alla ammirazione che suscita la perfetta stesura della tinta ed il rigore degli impianti compositivi entro i quali egli svolge ed elabora alcuni dei paradigmi classici della tradizione astratta del Novecento. E porrei al cespite, per Georg Zuter, i nomi di Bart Van der Leck e Théo van Doesburg tra 1916 e 1930. Penso ad opere di van Doesburg quali Ritmi d’una danza russa, datata 1918, del Museum of Modern Art di New York o alla Composizione aritmetica del 1930, in collezione privata a Basilea; ed alla Composizione 1916-4, conservata al Gemeentemuseum dell’Aja, di Van der Leck.

Il richiamo è a due autori che affrontano, stabilendo uno dei codici della astrazione in pittura, la questione della esattezza assoluta della stesura che, ancor più di quanto non avvenga in Mondrian, vale come ricusazione del tocco e di quanto possa conferire uno spessore e un rilievo al colore. Tali principi impongono assenza di dinamismi all’interno di ciascun comparto cromatico e che si affidi ogni energia dinamica, anche dirompente, alla relazione tra i campi, alla loro congiunzione d’insieme, alla composizione. Sintesi di campi e bordi, di aree e contorni, donde lo scatto e il movimento. I contorni non ammettono alcuna deroga ad una linearità perfetta, netta come il colpo d’una taglierina. Zuter possiede un mirabile dominio della poetica dell’esecuzione minuziosa in pittura, uno dei più ardui lasciti della tradizione fiamminga, una maestria che raramente avviene di poter apprezzare. Il suo pennello non depone il colore. Lo fissa. Lo ferma entro confini calcolati e reca un elevato contributo alla ricerca degli impianti compositivi che impegnò Streminski ed Albers e poi, per la stesura, negli anni Sessanta, Kelly e Noland. Zuter determina i campi cromatici come limiti. Limiti calcolati per ottenere il ritmo unitario della composizione. Sappiamo bene che unità non comporta necessariamente equilibrio o armonia e che è parimenti conseguibile mettendo capo a divergenze, a scarti, a dissonanze. E in Zuter il divario, il disaccordo, la disuguaglianza, quando sono perseguiti, rispondono immancabilmente alla coerenza della misurazione.

La pittura di Zuter non ammette incongruenze e gli elementi che la strutturano risultano adeguati ad un principio di misurazione al quale Zuter demanda il compito di individuare i rapporti di grandezza e impronta i calcoli che assicurano la necessaria compatibilità ai singoli morfemi. La misurazione, vorrei dire l’attività del misurare prima d’ogni singola misura calcolata, svolge una funzione decisiva nella inventiva pittorica di Zuter. Il misurare di Zuter va inteso come un costante prendere le misure e, mentre è un esercizio che rispetta convenzioni assunte come stabili, tuttavia non è applicato con l’intento di uniformare il vario, il disuguale secondo una misura unica. Al contrario. Il misurare rivela nella pittura di Zuter la pluralità delle misure e consente la loro registrazione puntuale entro un costrutto unitario, ovvero dentro il perimetro della tela. Dunque non misura, ma il misurare; e il misurare non per ottenere una misura, ma per constatare le misure. La pittura di Zuter si presenta come una ratifica, una attestazione che convalida le misure esplicitandole come confini di campi cromatici. Si pone così la questione del colore quale tema essenziale della sua ricerca. Mi limito ad osservare che Zuter muove la sua indagine sui fondamenti che, a partire dalle esperienze di Johannes Itten condotte presso il Bauhaus tra 1919 e 1923, si articolano dal 1929 nel gruppo Cercle et Carré e, dopo il 1931, nell’associazione Abstraction-Création. Si studiarono allora i presupposti in base ai quali ciascuna area precisamente delimitata, quando sia affidata ad un distinto colore, si afferma, in virtù di relazioni di reciprocità, come tensione, ovvero come luogo di tenuta e linea di resistenza di dinamiche cromatiche commisurate, per zone e per accostamenti, le une alle altre. E rammento che Tensions è il titolo di un esemplare olio su tela di Jean Hélion datato 1932, oggi conservato al Musée des Beaux-arts di Le Havre.