Trenta luglio, imbrunire. Due giornalisti investigativi russi, Alexander Rastorguyev e Orkhan Dzhemal e il loro cameraman Kirill Radchenko, stanno attraversando dei villaggi a 20 chilometri da Sibut città distrettuale della Repubblica Centroafricana. Un’imboscata li sorprende: i 3 vengono massacrati sulla loro jeep da un commando di 10 persone.

LE TELECAMERE E I SOLDI dei giornalisti vengono rubati ma il loro accompagnatore locale «Martin» resta illeso. I tre giornalisti erano nella Repubblica Centroafricana da qualche tempo per realizzare un reportage sul «Gruppo Wagner», una struttura di foreign fighter russa. I «wagneriani» erano assurti alle cronache della stampa in febbraio quando venne a galla che in Siria combatteva, a fianco dell’esercito di Assad, una formazione di mercenari russi, già nota per aver partecipato al conflitto nel Donbass.

L’inchiesta televisiva a cui i tre giornalisti stavano lavorando, finanziata dal magnate russo Michail Khodorkovsky da sempre nemico giurato di Putin, mirava a dimostrare l’esistenza di centri di raccolta di mercenari tra la popolazione locale, organizzati dal «Gruppo Wagner», da inviare poi in vari teatri di guerra ed evidenziare come tale organizzazione avesse legami diretti con il Cremlino. Cosa avessero scoperto i giornalisti russi forse non lo sapremo mai, ma la stampa più vicina al governo come Vzgljad ha subito sposato con un po’ troppa convinzione la tesi della rapina. «Non che sia campata in aria: sono presenti nella zona sicuramente gruppi armati che possono aver perpetrato il delitto per assicurarsi della valuta straniera, ma è un’ipotesi che non mi convince» afferma Andrey Konyanchin, braccio destro di Khodorkovsky che seguiva da Mosca passo per passo il viaggio dei reporter.

«Ci sono un sacco di falle e situazioni non chiarite nella ricostruzione proposta dal governo africano» afferma Konyakhin. Secondo il collaboratore dell’ex oligarca «risulta per esempio strano come l’autista sia rimasto vivo. Non crediamo alla sua ricostruzione della vicenda».

INOLTRE NON SI CAPIREBBE, a prima vista, perché per una qualche ragione sconosciuta, i tre e la guida avessero deviato dal percorso precedentemente pianificato di oltre 20 chilometri verso est. Novaya Gazeta, giornale notoriamente antiputiniano con cui spesso i due giornalisti collaboravano, propone un’altra ipotesi. I giornalisti sarebbero stati in movimento verso nord, fuori dall’itinerario definito, per seguire lo spostamento di carovane di migranti centroafricani «gestiti» dall’organizzazione «dei wagneriani».

Ipotesi da verificare, ovviamente. Quello che è invece noto è il tentativo di penetrazione economica russa nel paese a scapito della Francia. Nell’ottobre del 2017 il presidente del paese centrafricano Faustin-Archange Touadéra e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov si incontrarono a Soci per stringere una serie di accordi.

AL TERMINE DELL’INCONTRO si parlò di «potenzialità del partenariato per lo sfruttamento delle risorse minerarie, la fornitura di materiale militare russo, di macchinari agricoli e di energia». Di cosa si trattasse era chiaro: nel maggio di quest’anno la Russia ha rifornito Bangui di fucili d’assalto, mitragliatrici e lanciarazzi Rpg e a Barengo, non lontano dalla capitale, è stata installata una base militare russa. In cambio di questi «aiuti» la Russia avrebbe ottenuto risorse del paese come le miniere di diamanti, il suo legname più pregiato e l’uranio.

TATIANA DENISOVA studiosa dei paesi dell’Africa tropicale all’Accademia delle Scienze di Mosca è convinta che tra la vicenda dei foreign fighers «wagneriani» e la penetrazione imperiale russa nello Stato Centrafricano esista un ben visibile filo di congiunzione, il quale potrebbe essere costato la vita ai tre giornalisti. I «wagneriani», per l’accademica, sarebbero impegnati nel paese a garantire gli interessi russi, cosa che non può essere affidata per ragioni diplomatiche all’esercito. «La causa principale dei conflitti in Africa oggi, e in particolare nella Repubblica Centrafricana, è la lotta per le risorse. C’è una guerra di tutti contro tutti: le tribù sono in guerra tra loro. Ci sono poi milizie locali e gruppi di insorti. E tutti hanno bisogno di soldi» afferma la studiosa.

«QUINDI POSSO SUPPORRE che uno degli scopi per cui sono stati impiegati i wagneriani siano la protezione di depositi di oro, di uranio e diamanti» segnala Denisova.
Neanche per lei, inoltre, l’ipotesi dell’omicidio a scopo di rapina risulta convincente. «Di norma i gruppi armati prendono persone, in particolare i bianchi, come ostaggi, al fine di ottenere un riscatto. Uccidendo i tre giornalisti per pochi spiccioli avrebbero fatto il ben strano errore di far fuori le galline dalle uova d’oro».