Secondo i bene informati, dietro le stime «prudenziali» della crescita del Pil di Renzi di quest’anno, ci sarebbe proprio il nuovo Ufficio Parlamentare di Bilancio, Authority di vigilanza dei conti pubblici.

Ieri il suo presidente, Giuseppe Pisauro, in commissione bilancio al Senato sull’aggiornamento al Def, si è mostrato preoccupato per la frenata del mercato mondiale. E sullo scandalo Volkswagen ha dichiarato di temere «ripercussioni sull’indotto e sull’economia italiana».

Professore, che pensa dell’abolizione della tassa sulla prima casa per tutti?

Al momento siamo solo agli annunci. Nel Def, in un passaggio si parla di abolizione e in un altro di riduzione, quindi bisogna capire bene. Quello che faremo è studiare gli effetti distributivi sul reddito, ed eventualmente sulla domanda e sui consumi. Infine, bisognerà valutare se questa misura sarà in grado di rilanciare il settore dell’edilizia.

Voi avete espresso dubbi soprattutto sulle stime di crescita per i prossimi anni. Cosa la preoccupa maggiormente?

Il nostro compito è fare in modo che le previsioni di crescita non siano irrealistiche. Abbiamo validato le stime di crescita per il 2015 e il 2016 e abbiamo espresso preoccupazione per le stime degli anni successivi. Rileviamo, quindi, un eccesso di ottimismo, e una mancanza di prudenza per gli anni 2017-2019. Questo rischia di avere delle conseguenze sulla regola del debito, che riguarda la diminuzione del rapporto tra debito pubblico e Pil nominale.

Nei giorni scorsi avete sottolineato anche l’eccessivo ottimismo del governo riguardo alla crescita del commercio mondiale…

Questo aspetto aggiungerebbe un ulteriore fattore di rischio. La previsione del ministero dell’economia, paragonata a quella degli altri previsori, appare ottimistica nel medio periodo. E in più ci sono i rischi che derivano dalle variabili internazionali.

Bankitalia teme ripercussioni per lo scandalo Volkswagen. Secondo lei?

I riflessi sull’indotto rischiano di avere ricadute negative sulla nostra economia. Uno dei fattori di ripresa, anche per l’Italia, è stato proprio il settore automobilistico. Ma è ancora presto per capire quali saranno le dimensioni e le conseguenze esatte di questo fenomeno.

Molti studi internazionali sottolineano quanto la debole crescita in alcuni paesi europei sia fondamentalmente legata alle variabili esogene. Soprattutto al combinato disposto del QE di Draghi e alla caduta del prezzo del petrolio.

Se si guarda a quello che sta succedendo in questi mesi in Italia, bisogna dire che gran parte della mini ripresa del 2015 dipende soprattutto dalla domanda interna e non dal mercato estero. È vero, però, che per la crescita dei primi due trimestri, stiamo parlando essenzialmente di accumulo di scorte. In questo senso, si tratta di una crescita ancora incerta.

Bisognerà vedere se si tradurrà in vendite e fatturato, quindi?

Esattamente. Coi dati che abbiamo finora questa crescita sembrerebbe confermata anche per il terzo trimestre e l’obiettivo dello 0,9% potrebbe sembrare, quindi, plausibile. Ma parliamo sempre di uno «zero virgola». Bisognerà vedere se si realizzeranno le previsioni per il 2016, che parlano di +1,6%, una percentuale importante…

Sulla spending review che tipo di obiezioni avete sollevato?

Mentre nel documento di aprile erano indicati tagli per una cifra vicina ai dieci miliardi adesso si dice che sarà più graduale di quella prevista nel Def.

Come mai, secondo lei?

Probabilmente c’è una difficoltà ad individuare i tagli di spesa e i settori nei quali concentrare la riduzione delle agevolazioni fiscali.

Sono due anni che la spesa cresce meno del Pil. Abbiamo un livello di spesa primaria che è la seconda più bassa in Europa. Riorganizzazione della spesa, quindi, significa meno servizi per i cittadini?

È evidente che il rischio c’è ma io credo che nel settore pubblico italiano ci siano margini di miglioramento e di maggiore efficienza. La spending review, a mio avviso, dovrebbe essere fatta, più che con l’ottica di cercare risparmi nell’immediato, con l’obiettivo di razionalizzare la spesa nel medio e lungo termine. Bisogna fare uno sforzo per offrire servizi migliori a parità di spesa. Bisognerà, poi, fare una scelta politica: non si può avere contemporaneamente la stessa spesa, imposte più basse e il debito più basso. Con il debito pubblico italiano, si dovrà scegliere se mantenere le spese o ridurre le tasse.

Rispetto alla flessibilità, avete fatto due osservazioni, sia per quel che riguarda la clausola sulle riforme, sia per quella sugli investimenti. È cosi?

Abbiamo detto che ampliare quella clausola dallo 0,4% allo 0,5% significa indicare nuove riforme ed evidenziarne gli effetti positivi sulla crescita di medio periodo. Serve, quindi, qualche indicazione su quello che, per ora, nel Def non troviamo. Per quanto riguarda la clausola sugli investimenti, bisognerà vedere, nella legge di stabilità, di che tipo di investimenti si tratta. Sappiamo che sugli investimenti dei fondi europei, le performance italiane sono tutt’altro che esaltanti. Bisognerà, inoltre, fare attenzione alla cifra indicata nella legge di stabilità, perché dovranno essere progetti che poi dovranno essere realizzati.

È indubbio che in Europa si stia faticosamente abbandonando l’austerità a favore di una maggiore, anche se insufficiente, flessibilità nelle regole…

Questa maggiore flessibilità è determinata dall’osservazione che dopo sette anni di crisi si capisce che c’è un problema di sostegno della domanda. E quindi si tratta di misure che cercano di rispondere a una carenza di domanda con una politica fiscale temporanea meno restrittiva. La ratio non può che essere questa.