Finalmente. Dopo 39 anni il Leoncavallo entra in una nuova fase ed è ad un passo dalla soluzione definitiva. Il Comune di Milano ha acquisito lo stabile di via Watteau dove da due decenni ha sede il centro sociale più famoso d’Italia. Il passaggio storico è avvenuto grazie a una permuta con la società proprietaria dello stabile: l’Orologio del gruppo Cabassi. Palazzo Marino ha ceduto ai Cabassi una scuola in via Zama e un altro edifico da ristrutturare in via Trivulzio. In cambio è entrato in possesso degli oltre 5 mila metri quadri del Leo. Si tratta di un’operazione di cui a Milano si parla ormai da molto tempo. Ma che si è conclusa quando quasi non ci sperava più nessuno.

Sin dalla candidatura di Giuliano Pisapia, nata in ambito Sel, non era difficile immaginare che nel programma del futuro sindaco dovesse essere compreso un cambio di rotta sulla questione dei centri sociali. A partire proprio dal Leoncavallo. Una realtà unica, particolare, per la sua lunga storia, per il suo forte valore simbolico, ma anche per la strada intrapresa negli ultimi anni. Un percorso che ha trasformato via Watteau in uno spazio di socialità e aggregazione per alcuni versi “meno conflittuale”. Gli occupanti hanno nel tempo anche realizzato ristrutturazioni che lo hanno reso più “regolare” dal punto di vista delle normative e della sicurezza delle struttura e più fruibile da tutta la cittadinanza. Un bene comune che fornisce servizi pubblici e attività culturali. Tanto che il Leo da molto tempo non è più comparabile alle altre realtà autogestite milanesi.

Il passaggio di proprietà, dunque, non è una sorpresa. Piuttosto è la tappa decisiva lungo una via segnata. Per questo c’era chi a Milano la dava già per cosa fatta appena Pisapia è diventato sindaco. Da tempo la propietà Cabassi spingeva perché si trovasse una soluzione e gli occupanti nel corso degli anni avevano stilato infinite proposte. E invece per tre lunghi anni non è successo nulla. Anche l’altra mattina all’Assocazione delle Mamme del Leoncavallo si è puntualmente presentato l’ufficiale giudiziario con l’ennesimo ordine di lasciare lo stabile e relativo rinvio, ma solo di qualche mese. Poi la sopresa: la giunta arancione è riuscita a cambiare passo proprio in extremis, forse per evitare che la patata bollente del Leoncavallo scoppiasse in piena campagna elettorale (a Milano si torna a votare tra due anni).

Eppure la strada è ancora lunga. Per ora è solo cambiata la proprietà dello stabile in virtù di un delibera di giunta urbanistica che dovrà passare dal consiglio comunale dove le opposizioni non aspettano altro per cavalcare il caso innescando una durissima battaglia di retroguardia. Ma soprattutto è ancora tutta da definire la via che porterà all’assegnazione finale dello spazio. Tutto lascia pensare che quelli del Leoncavallo resteranno dove sono. Con che modalità, però, non è ancora del tutto chiaro. Difficile immaginare un semplice bando aperto a tutti o, in alternativa, una sorta di bando pilotato tutto da inventare. Magari alcuni spazi dell’area ora non utilizzabili verranno assegnati anche ad altre realtà con cui quelli del Leo dovranno convivere (qualcuno pensa a don Gino Rigoldi). Per questo anche fra gli occupanti la reazione è duplice. Da un lato c’è soddisfazione, dall’altro dispiace che tutta la vicenda si sia giocata sopra le loro teste, senza un canale diretto di dialogo con il Comune che adesso invece si dovrà aprire, anche se non tutti nella maggioranza arancione sono disponibili (forse il più aperto è l’assessore alle politche sociali Pierfrancesco Majorino).

“E’ un passaggio positivo per tutta la città – sostiene Daniele Farina, storico portavoce del Leo, ora parlamentare di Sel – c’è voluto tempo perché non era facile ma alla fine si è arrivati a una svolta che offre oppurtunità e apre potenzialità nuove. Spero solo che le opposizioni non mettano in pratica la minaccia di aprire una guerra di altri tempi che non esistono più, tutta ideologica e ormai stantia. E spero che venga riconosciuto il lavoro straordinario materiale e immateriale che è stato fatto in via Watteau. Uno spazio dove negli anni sono passati centinaia di migliaia di persone”.

Comunque vada a finire il modello Leoncavallo non è ripetibile per le altre realtà del movimento milanese per molti versi deluse dalla giunta Pisapia. Proprio mentre iniziava a circolare la notizia della permuta del Leo, si è tenuta la nuova assemblea del tavolo sugli spazi sociali voluta dalla giunta. Una riunione azzoppata dallo sgombero di qualche giorno fa ai danni del centro sociale Zam e dall’annunciato sgombero entro fine estate del centro sociale Lambretta. Giovedì scorso al tavolo, che comprende anche varie associazioni, oltre all’Arci e alla Camera del lavoro, c’era solo il centro sociale Macao. Saranno i fatti nel prossimo futuro a stabilire se c’è ancora la possibilità di discutere o se la pratica verrà affrontata sempre e solo come questione di ordine pubblico.